Come molti di voi sanno recentemente la nostra amata Yakamoz ha trovato un nuovo armatore (per chi si fosse perso l’articolo eccolo qui).
Oggi non mi occupo di un ulteriore commiato ma bensì dell’aspetto tecnico venale che ho capito ha interessato parecchia gente: il gain.
Si perché dopo 13 anni di cure e carezze, siamo riusciti a vendere una barca del 1987, acquistata nel 2008 con già 21 anni sulle spalle, a più del prezzo da noi sborsato in origine: nulla di che ma circa il 5% in più… per una barca che ha raggiunto 34 anni!
Nell’articolo di cui sopra ho scritto che una buona dose di fortuna serve sempre, special modo se la vendita si verifica nel peggior periodo della storia umana. Ma è tutto qui?
Pochi anni fa produssi un compendio divenuto subito un classico, poiché tornato utile a tanti futuri armatori: scelta della barca ideale.
Lo scrissi in quanto mi resi conto che la mia esperienza specifica non fosse del tutto comune e mi sembrava giusto metterla a disposizione degli altri.
Nel 2008 acquistammo un Ovni 41, dopo 48 barche viste! Dall’Italia all’Inghilterra, dalle Baleari alla Croazia, in un anno e mezzo effettuammo una incredibile full immertion, viaggiando ad ogni offerta Ryanair e modificando anche il tipo di barca per il nostro futuro cambio vita.
Attraversammo tutte le fasi, dalla vetroresina all’acciaio, fino chiaramente all’alluminio; quest’ultima, prima scelta sin dall’inizio, ma con poche opzioni acquistabili sia per lo stato che per il budget.
Mi si dirà che aver comprato un Ovni sia un po’ come voler vincere facile, e la risposta è “ni”.
L’Ovni in effetti è divenuto negli ultimi decenni un must, una cult boat, la 4×4 dei mari del blasonato e più noto cantiere di barche in alluminio, l’Alubat. Ma questo da solo non può garantire la rivendibilità dell’unità a pari prezzo dopo 13 anni… solo un ingenuo potrebbe crederlo.
Non esiste barca che acquistata a 9, dopo più di 2 lustri si rivenda a 10; di solito come minimo è il contrario o più frequentemente acquisti a 10 e rivendi a 7 se ti dice bene; e parliamo di unità già usate, perché se dovessimo riferirci a barche nuove, sappiamo di affrontare già il primo deprezzamento immediato dell’IVA non appena uscita dal cantiere; dunque la paghi 10 e in un secondo vale 8, senza neanche la polvere sulla coperta.
Ed ecco il primo aspetto: acquistare usato, rigorosamente.
Per me questo ha un doppio valore. Visto l’enorme mercato a disposizione e il rischio per molte barche di andare in demolizione, è uno scempio ricorrere al nuovo. Io sono un decrescista per scelta e non credo nella produzione infinita, soprattutto di cose non proprio indispensabili quali i gusci galleggianti, ammettiamolo.
Dopo l’aspetto etico vi è senz’altro quello pratico: un armatore prima di noi ha già dedicato energie e soldi per assettare nel miglior modo possibile il suo sogno; ha pagato lo scotto di inevitabili imperfezioni progettuali o difetti postumi eccetera eccetera. Cose che conosciamo bene. Oltre ad aver certamente allestito il proprio giocattolo con ogni extra, qualcuno inutile d’accordo, ma altri importanti.
Ah bè si, va detto per i neofiti, che quando affermo di aver venduto la barca a più del prezzo di acquisto non mi riferisco ovvio al costo totale in soldi e fatica che ho sopportato in 13 anni: impossibile.
Non si può pretendere di far pagare al neo armatore il valore aggiunto di un’automobile a cui hai cambiato le ruote o l’olio motore, o il tuo tempo a passare la cera.
Gli accessori, le migliorie e ogni soldo che spenderete su una barca, difficilmente vi tornerà come aumento di valore: serviranno però a fare in modo che tra 2 unità uguali o similari, a parità di prezzo venga scelta la vostra; qualcuno sarà disposto persino a riconoscervi qualcosa in più.
La possibilità del 5% di incremento dunque non si ottiene allestendo la barca con optional poco indispensabili, ma attraverso specifici allestimenti intelligenti e funzionali e una manutenzione impeccabile: specifico fino alla nausea, parlo di ‘possibilità‘ non di certezza.
“Si vabbè ma dai avevi un Ovni”, torna inesorabile l’esclamazione iniziale. E torna la mia risposta ni.
L’Ovni effettivamente può mantenere più il prezzo, senza dubbio. Perché? È come detto divenuto un mito, è affidabile e soprattutto è in alluminio.
Ma non basta. Conosco persone che hanno svenduto il proprio Ovni o semplicemente venduto a un prezzo classicamente inferiore.
Poi essendo un deriva mobile si scontra contro l’ignoranza di alcuni popoli meno preparati dei francesi, classici usufruitori dei deriveur; ciò ne riduce ulteriormente il mercato.
Stesso dicasi per il materiale: io lo conosco e non potrei farne a meno, ma nel mondo si naviga prettamente su vetroresina e la lega di alluminio viene vista come un rischio, anzi un pericolo (sempre per ignoranza e leggende sentite nei peggior bar di Caracas); ergo, ulteriore assottigliamento del mercato.
Ci sono a mio giudizio 2 aspetti importanti che invece caratterizzano l’essere ‘evergreen’ di una barca: la destinazione d’uso, il materiale e le capacità dell’armatore.
L’Ovni è una barca da lunghi viaggi, da liveaboard. Ecco il primo step: una barca destinata a far miglia e concepita per un comfort di vita a bordo in ogni latitudine è la vera prima differenza tra le unià.
Paragonare un Najad con un Beneteau, confrontare un Contest con un Bavaria, sarebbe sciocco, inopportuno.
Costruttivamente e concettualmente hanno differenze abissali: una barca commerciale si scontra con altre centinaia di unità sue pari, il cui valore di mercato subisce più o meno la stessa svalutazione del comparto automobilistico.
Oggi vedo degli Amel che mantengono con testardaggine il proprio valore, anno dopo anno; e per me che di default sono “allergico” alla vetroresina è semplicemente assurdo; ma se andate ad aprire uno stipetto di uno Sharki del 1978 e quello di un Janneau del 2010 capirete il perché.
Materiale: l’alluminio diventa come una malattia, questa premessa è d’obbligo; è il metallo da viaggio per eccellenza, resistente, leggero rispetto all’acciaio, privo di particolari manutenzioni. Il settore degli scafi in alu è molto specifico, fatto che genera un mercato esigente e con molti meno perditempo. Non è un materiale per diportisti della domenica, ormai è chiaro.
Capacità dell’armatore: saper far da sé non solo ti consente di risparmiare in mano d’opera, ma dedicare tempo ad accudire nel miglior modo la piccola (o grande che sia). Queste attenzioni si notano. Magari hai installato un secondo frigo. Hai personalizzato la barca con arguzie specifiche e funzionali alla vita di bordo. E via dicendo. Dato che il futuro acquirente la pensa come te, apprezzerà e capirà, pronto a sua volta a personalizzare ulteriormente la casa galleggiante negli anni a venire. Insomma è una sorta di ricchezza che si lascia in eredità a chi viene dopo di noi.
Prezzo di acquisto: non accontentatevi della “prima che passa”; cercate, cercate, cercate e non abbiate fretta; se scegliete la barca perfetta e completa, probabilmente non la rivenderete più per vivere insieme a lei finché morte non vi separi; e chissà anche la manutenzione verrà meno dei primissimi anni successivi all’acquisto; ma trattandosi statisticamente di unità con almeno 20 anni (mi riferisco a barche e dimensioni per un budget umano) difficile credere di non dover metter mano alla barca famelica di costanti attenzioni. Noi acquistammo Yaka in uno stato discreto, ma molto basica come accessori e un po’ trascurata dai precedenti armatori: questo ci spinse a offrire un po’ meno della richiesta, senza alcuna fretta. A livello nominale è un gioco dell’elastico, ovvero se compri bene per via di alcune deficienze, spenderai comunque la differenza nel ripristinarne la bontà; pertanto ritengo la via di mezzo la strada migliore da percorrere. Fermo restando che con l’imbarcazione vogliamo navigarci subito, o giù di lì, non dopo 1 o 2 anni di restauro!
Perizia. Inutile vi sottolinei l’importanza di affidarvi sempre a un buon perito, possibilmente esperto di alluminio, nel caso vi interessasse il materiale in questione; a meno che non abbiate maturato esperienza a sufficienza per far da voi o per ricorrere a una figura più generica, magari esperta nei motori.
Ma altrettanto onestamente vi consiglio di non riporre fiducia religiosa nel professionista. Per 2 questioni molto semplici: è un essere umano, dunque fallibile; la barca è un insieme di milioni di parti, e per quanto il perito possa ispezionarla minuziosamente, impossibile accorgersi di tutto. Mi si dirà che una volta visto il grosso il resto sono dettagli di poco conto… No, non direi, quanto meno non sempre. Perché? L’ho scritto poc’anzi, troppi pezzi, troppe zone nascoste (pensate solo alla superficie sotto i serbatoi o al motore), errore umano, “superficialità della giornata”, eccetera, eccetera, eccetera. Sia chiaro, parlo per esperienza personale, e le verità, le mie verità, le racconterò solo ai migliori amici, in privato.
Poi ci sono dei super periti. Uno, inglese, lo conobbi la scorsa estate a Marmaris, Turchia; venne a periziare Yakamoz per un tizio che prima ancora di fare un’offerta scelse di spendere fior di soldi per la verifica… Noi eravamo in secco, prossimi al varo e accettammo serenamente. Tranne accorgerci successivamente che in realtà il bizzarro svizzero, in vacanza con la moglie, alla sua prima esperienza nautica, non avesse alcuna idea di acquistare, nonostante l’eccellente risultato dell’esame fin lì avvenuto (accade anche questo: il momento dell’assegno fa tremare le gambe a chi non ha le idee chiare).
Ebbene Mr. John, il surveyor, spese una mezza giornata solamente per misurare gli spessori: l’opera viva aveva più numeri che antivegetativa; poi passò all’esame uditivo con il martelletto; e via via il resto, elica, asse, timone, deriva bla, bla, bla.
Il pomeriggio si dedicò all’interno della barca: ci fece tirare fuori di tutto e sgombrare ogni gavone! Cabina per cabina, sentina per sentina, trasferivamo le migliaia di cose (parliamo della barca di un liveaboard) da destra a sinistra, da prua a poppa; e lui giù a verificare ogni pertugio o cavo elettrico.
A fine giornata rimaneva ancora la zona di prua da ispezionare e solo poi saremmo passati alla prova in mare: posso solo immaginare a quali e a quante manovre avremmo dovuto prestarci, se non fosse stato appunto per la provvidenziale interruzione della trattativa (dopo la pesante giornata appresso il perito, misi alle strette il sognatore “va bene tutto, mio caro Schultz, ma ora passiamo nero su bianco l’accordo in caso di esito positivo della perizia”: come detto il tizio si spaventò e lì finì la storia.
Comunque e nonostante ciò, il perito, non andò a infilare la mano in “quell’angolo sotto il tavolo che invece tu conosci bene” (per fare un esempio).
Questo per dire che alla fine un armatore competente e che negli anni ha smontato e rimontato e manutenzionato ogni centimetro quadrato della barca, obiettivamente non ha prezzo.
Ma, lo confesso, se mai dovessi rifar fare una perizia, contatterei senza ombra di dubbio l’incredibile e puntiglioso Mr. John, disponibile a viaggiare in ogni zona del mondo (a chi volesse girerò volentieri i suoi contatti).
In conclusione, se non parliamo di barche d’epoca o di unità distrutte, acquistate a nulla e rimesse in sesto dall’armatore hobbysta, proprio al fine di specularci, recuperare il prezzo d’acquisto addirittura con un gain, riguardo una normale imbarcazione in condizioni standard, è davvero un miracolo (o gran culo, fate voi).
Ma se c’è una possibilità che ciò accada è più facile con barche specifiche, non troppo commerciali e che hanno un bacino di utenza di nicchia, alla ricerca cioè delle analoghe esigenze del primo armatore.
Per ultimo devo però spezzare la lancia a favore del materiale: l’alluminio, l’ho premesso, è una malattia o religione se preferite.
Chi ha letto il mio primo libro, “Si può fare”, sa bene come dopo ampia ricerca e valutazioni, nel 2008 optassimo infine per la barca in alluminio, investendo un po’ più del budget inizialmente predisposto allo scopo; proprio nella speranza di non demolire troppo il nostro patrimonio il giorno in cui avessimo dovuto rivenderla. A questo punto della storia posso dire… scommessa vinta!
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Ho trovato veramente molto interessante il vostro post, in particolare mi piace, e dove mi è possibile condivido nella pratica, il principio del “decrescismo”, individualmente è giusto dare il proprio contributo per migliorare il mondo…
Sai Giorgio, il mio primo libro “Si può fare” è sostanzialmente un monumento alla decrescita felice 😉
Mai come oggi il concetto dovrebbe esser chiaro alle persone: ciò che conta sono i rapporti umani, la natura, le cose semplici, non i giocattoli e una società annichilente per produrli e acquistarli. Ne parlai anche con i miei lavori fotografici…
Un abbraccio
Anche questa vokta hai fatto centro. Un articolo bello…veramente bello, godibile , utile e originale. Quando cercavo ( ante covid :(( ) seguivo le tue indicazioni con un mix verso la Tross Philosophy. Aggiungo quest’articolo alla libreria dedicata a quando il Progetto tornerà fattibile. Intento Buon Vento a tutti noi
sempre troppo buono. Ma sono felice ti possa tornare utile. Come detto, condividere l’esperienza mi fa piacere
Un abbraccio e buon vento
Abbiamo un ovni 455 che vorremmo avere periziato. Siamo alla ricerca di un perito esperto di ovni che abbia capacita’ di scriver euna perizia accurata in inglese. Mr. John sembra ideale.
Saresti cosi’ cortese di indicarmi come contattarlo ?
Grazie
ecco i suoi recapiti: buona perizia 🙂
Joe Rowles
info@marinesurveyorturkey.com