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Arriva un momento in cui si deve partire. Le hai provate tutte per rimandare. Ogni scusa pur valida non è riuscita a vincere contro l’inevitabile, quella sensazione in fondo all’anima che sancisce cosa è giusto e cosa è sbagliato.

Atterrammo con Yakamoz in Egeo per la prima volta nel 2009: ricordo come se fosse ieri (o quasi) le mille vicissitudini, emozioni legate a stati d’animo ma anche a posti specifici; la discesa dell’Italia, il salto ionico verso la Cefalonia, Patrasso e il canale di Corinto; infine il temuto Egeo con il suo fedele cerbero Meltemi, docile quando di poppa, ringhioso e feroce a volerci combattere contro; le Cicladi e poi la meta finale, all’epoca Bodrum, l’antica Alicarnasso.
Il programma della nostra nuova vita prevedeva un paio di anni in queste acque, al massimo 3; poi, come quasi tutti i giramondisti, avremmo varcato le colonne d’Ercole per chissà dove.
Accadde però che man mano navigavamo tra il Dodecanneso e la costa turca, desiderassimo scoprire sempre più, ammettendo la profonda ignoranza con cui approcciammo il viaggio e i programmi.
Salivamo, scendevamo, a Est, a Ovest e non ci stancavamo di vedere, navigare, assaporare.
Non ci accorgevamo di essere vittime di un incantesimo, proprio come Ulisse e le sirene, con la differenza che non avevamo nessuna intenzione di legarci all’albero per resistere.
Perché avremmo dovuto rinunciare? Chi ci comandava di rimanere fedeli alle intenzioni originarie? Perché sottrarsi alle carezze fatte di luci, colori, temperature, profumi, sorrisi, sapori, storia?

Capitò dunque che gli anni passarono, fino a concentrarci spesse volte in una zona ben definita che chiamammo “il triangolo delle Bermuda”. Individuammo effettivamente un vero e proprio paradiso terrestre da cui farci inghiottire, proprio come le famigerate isole, ma in versione magnifica.
Potrei riassumere il tutto con un solo termine: “droga”! Dipendenza vera e propria che molti amici hanno provato grazie alle varie vacanze passate a bordo con noi. D’altronde ci servivano testimoni, in quanto ad un certo punto pensavamo davvero di essere caduti in qualche trappola magica, una sorta di stregoneria offuscante l’obiettività. Ma chiunque osservasse con i propri occhi, annusasse e assaporasse, subiva lo stesso destino, a tal punto da tornare ogni anno.
Altri avevano ipotizzato una senescenza da queste parti. Altri ancora l’acquisto di un Tirandhil per cambiare vita e… lasciarsi andare, scomparire, semplicemente.

Non vi svelerò mai, nemmeno sotto tortura, di quale posto specifico stia parlando, pur se a un’attenta analisi non sarà complicato individuarla; ma i dettagli giammai!
Troppe volte editori e amici mi hanno chiesto di scrivere un portolano di queste zone, magari arricchendoli di quelle ‘chicche’ note solo a chi ha avuto la fortuna di viverle in prima persona, giorno dopo giorno, mese dopo mese. Sempre ho rifiutato e rifiuterò, con l’intenzione un po’ ingenua mi rendo conto, di poter contribuire alla tutela e conservazione delle ultime sfumature destinate a scomparire. Accelerarne l’epilogo non rientra francamente nel mio essere e modo di concepire la vita.

 

Ecco la nostra storia nella nuova edizione: Si può fare – Come vivere una vita da sogno con 500 euro al mese


Sono trascorsi 11 anni.

Se ripensate a chi e cosa eravate più di 2 lustri fa, le risposte probabilmente restituiranno il peso del tempo; aggiungendo a ciò quelle che possono essere le emozioni registrate di una vita come la nostra, capirete cosa significano per noi 11 anni in Egeo. Forse ne uscirà un libro chi lo sa, questo non posso escluderlo.

Ma perché partite, dite addio o anche solo un arrivederci a tale idillio? Le sirene non cantano più? L’incantesimo si è rotto?
Le ragioni sono drammaticamente semplici.
Una il fatto che dobbiamo vendere Yakamoz e per farlo necessita trasferirla in Francia, da dove partì insieme a noi nel lontano 2008.
“Dobbiamo” in quanto abbiamo (purtroppo al momento ‘avevamo’) un altro sogno da realizzare, che costa soldi e che chiede una valanga di energie. Ne avevo dato cenno diversi mesi fa, tutto speranzoso di partire verso aprile dopo varie conferenze che avremmo tenuto in giro per l’Italia alla ricerca di sponsor. Sempre a bordo di una barca, più grande, ancora in alluminio (una malattia, altro che covid), attrezzata in un certo modo, e sempre per tornare qualche anno in Egeo (ma stavolta davvero per massimo 2-3 anni) da cui iniziare il programma legato al nuovo vascello.
Poi avremmo proseguito in Italia, Francia, Spagna e sì, finalmente Gibilterra verso destinazioni ignote.
Sono consapevole vi manchino diversi altri elementi per immaginare la storia, ma come a suo tempo dissi, preferisco rimandare a quando il sogno diverrà realtà.
Il ritorno in acque francesi invece è dovuto al fatto che in Egeo amanti di alluminio non ce ne sono e tutti gli interessati si sono scontrati contro la lontananza e il costo del viaggio (tanto l’amore per Yaka però che uno svizzero ci raggiunse questo luglio, nonostante i problemi burocratici del Covid per vederla: trattativa non andata in porto per via di “un’incredibile impuntatura elvetica”, che probabilmente il tizio – alla sua prima barca – rimpiangerà).

Il secondo motivo riguarda il declino socio politico e geopolitico dell’area di navigazione, a cui si è aggiunto come un macigno il Covid, dando la spallata finale alla decisione.
Anno dopo anno percepivamo un inasprimento dell’atmosfera; potrei raccontarvi mille aneddoti e particolari, che agli occhi di una persona distaccata sembrerebbero dettagli insignificanti, ma che vissuti nell’insieme fanno male a chi ha creduto che il sogno potesse non finire mai.
Scegliere di cambiar vita a bordo di una barca a vela, consiste nel dilatare i pori delle percezioni; si modifica il paradigma, si amplia il significato della parola ‘libertà’, arricchita di sfumature incredibilmente importanti.
Quando si stabilisce una simbiosi, uno stato di benessere con il paesaggio circostante, si crea un forte legame: hai scoperto l’isola della felicità che cercavi e vuoi rimanga sempre così, perché hai impiegato molto tempo e sacrifici per scovarla; ci hai basato la vita, progetti, sogni e per nulla al mondo immagini un giorno di vederla scomparire.
Invece poi accade e non puoi farci nulla. Puoi certo accettare tali mutazioni, accetti la nuova burocrazia, accetti quel gavitello dove prima non c’era, accetti persino che quel tratto di mare si stia inquinando, e accetti anche la sofferenza e la povertà di un popolo greco che prova ancora a recitare per i turisti “ipo vedenti”. Ma superato un personalissimo limite senti il rumore sinistro, quel “crack” che segna la fine di un’epoca.

Dicevo il Covid.

La situazione è diventata talmente assurda che nonostante il virusello sia scomparso clinicamente da 3 mesi, i governi mondiali, quelli che contano e gestiscono le sorti del mondo, pare vogliano continuare la recita del panico ad oltranza; a tal punto da impedire ancora oggi l’accesso nei paesi UE da quelli Extra, tranne, quando possibile, accettare la famigerata (e pericolosa) quarantena, da cui uscirne un giorno, a “tampon piacendo”.
Ad esempio la Grecia al momento non consente gli accessi dalla Turchia, anche per altre ragioni legate a quelle guerre impercettibili dai più, ma reali e in corso tra i paesi.
Allora incroci i dati e capisci che se lo “show must go on” addirittura tornando pure al lockdown (leggasi carcerazione) entro settembre, rischieremmo di rimanere con Yakamoz esattamente dove siamo, con conseguenze impossibili da prevedere.
È un momento storico molto brutto, inquietante e vergognoso della storia umana, e sì vorremmo essere in qualche sperduta isola delle Figi, una di quelle ancora inesplorate, magari insieme a qualche barca di amici per la nostra “comune acquatica”. Ma non è possibile, i tempi non ce l’hanno concesso: forse con altri 2-3 anni avremmo potuto fare di più e vivere ai confini del mondo nel mentre questo va a scatafascio.

Per cui eccoci qui, pronti fra qualche giorno a un viaggio di rientro, saltando la Grecia a piè pari, destinazione Francia, Marsiglia.
In molti non credono alle coincidenze e tra questi anche io. Potevamo trasferire Yaka lo scorso anno, e giuro che era nelle ipotesi concrete; poi però, alle prese con un’altra priorità inderogabile, abbiamo rimandato di un ultimo anno. Ora, lasciare il nostro paradiso terrestre quando “le faglie si allargano”, risulta molto meno doloroso; quasi una questione del tipo “non abbiamo più nulla da dirci sul serio”, oppure “non è più possibile andare avanti così”.
Ero certissimo che venire a bordo e recitare ai ragazzi (…) liberi, veleggianti in Egeo, quando fuori la sofferenza imperava in ogni forma, avrebbe avuto un sapore amaro, e così è stato. Anche se le sensazioni fisiche di un tuffo tradiscono la ragione per qualche istante, la brezza camuffa il pensiero, la realtà è talmente forte e permeata di se stessa, che gli occhi in fondo osservano i ricordi dei bei tempi che furono.
Accade proprio questo difatti.
L’altra sera all’imbrunire Başak provava un po’ di tristezza; il tramonto era struggente, la musica in sottofondo sottolineava il momento, e io vedevo la baia diversamente. Ripensavo ai delfini quella volta che vi entrarono e noi con il tender a inseguirli, oppure le infinite nuotate con Ernst e Vildan: cioè osservavo un amarcord reale benché fossimo lì presenti; impossibilitati a registrare nuove e felici immagini, quelle che un domani riaffioreranno alla mente quando avremo bisogno di scaldarci il cuore. In altre parole ricorreremo al passato diverso da oggi, questa in fondo è una transizione, nient’altro.

Ma il tuffo al cuore… bè il tuffo al cuore ragazzi c’è comunque e fa male.
Ci ripetiamo che è solo un arrivederci, che un giorno torneremo per un saluto migliore e tanta speranza per il futuro, però sappiamo, sappiamo come la vita special modo la nostra, sia pronta ad avvolgerci, rovesciarci e proiettarci in qualche strano buco nero che ci risputerà in un’altra dimensione ora impensabile.
Proprio come avvenne 12 anni fa.
L’Egeo ci ha riempiti, ci ha dato così tanto che se la nostra vita terminasse adesso, in questo istante, non avremmo nessun rimpianto, non potevamo chiedere di più.
Dunque la lacrima scende, a volte la ritiri su, vuoi far finta di essere più forte; altre volte invece ci abbracciamo intensamente, guardiamo quel sole, fottuto testimone, sprofondare nel mare, e la pelle del viso si bagna.

Grazie Egeo. Grazie Yakamoz. Grazie a noi.

 

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