Michele ci chiede informazioni su come dovrebbe essere attrezzata una barca per la navigazione nei mari freddi: ottima domanda a cui siamo felici di rispondere
Risponde Filippo
Navigazione nei mari freddi
In oltre trent’anni di mare in giro per il mondo mi è capitato di navigare in quasi tutte le condizioni meteorologiche. Per affrontarle in sicurezza occorre una buona preparazione personale e una certa propensione ad assumersi le responsabilità. Ma certamente l’aspetto che non va sottovalutato è quello della preparazione della barca, da cui dipenderà il successo del viaggio.
La barca
La navigazione nei mari freddi ha alcune caratteristiche che la differenziano da quella nei mari caldi o temperati e questo si ripercuote sulle scelte relative alla sicurezza attiva e passiva dell’imbarcazione. Non è possibile affrontare i fiordi norvegesi o i canali cileni con la stessa attrezzatura con cui si naviga tra le pur impegnative isole dell’Egeo. Sovente chi programma delle navigazioni artiche o comunque ad alte latitudini sceglie una barca concepita e costruita per quelle zone: pozzetto centrale o comunque protetto, se non addirittura chiuso, doppia timoneria, quando possibile, armo frazionato, scafo in acciaio o in alluminio, manovre riportate in timoneria o in zona protetta.
L’alluminio è il mio materiale preferito, perché ha la solidità del metallo senza essere pesante come l’acciaio e non costringere a continui interventi di manutenzione contro la ruggine. Inoltre è almeno del 30% più leggero e questo si traduce in minor superficie velica necessaria per il movimento oppure in maggior velocità a parità di superficie con una barca in ferro. Ci sono però alcuni casi di barche in vetroresina di buona costruzione che hanno affrontato navigazioni difficili raggiungendo l’Antartide o percorrendo il Passaggio a Nord Ovest, dove il pericolo di collisione con i ghiacci è il rischio maggiore. In Cile o in Alaska, come pure in Groenlandia mi è capitato di incrociare degli Amel, degli Swan di vecchia generazione e degli Hallberg Rassy che navigavano da anni in quelle acque (vedi anche la guida sulla scelta della barca ideale ndr).

prua nella burrasca di una barca impegnata nella navigazione nei mari freddi
Se devo però descrivere la barca ideale per i mari freddi allora insisterò sul metallo. E tra le altre caratteristiche che un veliero per una spedizione polare deve avere indicherei una chiglia mobile (spesso si naviga su fondali molto bassi o si devono attraversare passaggi con rocce molto vicine alla superficie o entrare nella foce dei fiumi), un armo a ketch o a goletta, un motore di buona potenza e una grande autonomia a gasolio, essendo spesso quelle zone disabitate. Una timoneria all’interno è quasi indispensabile quando si naviga con temperature sotto zero o esposti a una nevicata con venti forti e raffiche orizzontali. È un luogo ideale per osservare il mare sia di giorno che di notte senza soffrire il freddo. Se non è possibile averla interna, quella esterna deve essere completamente protetta, a 360 gradi.

la barca Adriatica alla fonda a Olla con cime a terra
Equipaggiamento
Ritengo indispensabile raddoppiare tutto ciò che è previsto per la sicurezza quando si affronta una navigazione nei mari freddi: doppia zattera, cerate stagne per l’equipaggio, doppio EPIRB. Delle paratie stagne. Pompe di sentina sovradimensionate. Doppio motore fuoribordo. Un secondo tender di sicurezza, se possibile, altrimenti in caso il primo si rompa seriamente, non scenderete più a terra. Due piloti automatici, doppio plotter, magari doppio radar. Occorre fornirsi di ogni cosa che aumenti la sicurezza e l’autonomia per delle spedizioni alla fine del mondo. Inoltre è indispensabile avere un collegamento satellitare con cui poter anche ricevere mail e, se si va oltre il circolo polare artico, in molte zone dove non c’è copertura, ci si dovrà affidare alla vecchia radio SSB e un sistema come Sail Mail.
È importante montare un doppio sistema di riscaldamento. Uno tipo Webasto e uno alternativo. Su Best Explorer avevamo due Webasto e una stufa a alcol (per chi fosse interessato io ho usato per qualche tempo un stufa a cherosene: potentissima). Su Adriatica, che però aveva un doppio generatore e 4 mila litri di gasolio, si potevano in caso di freddo estremo delle stufette elettriche, che in realtà non abbiamo quasi mai usato perché il Webasto era sufficiente a tenere la barca “asciutta”, sebbene la temperatura non superasse i 16 gradi quando fuori nevicava.

navigazione di poppa in oceano con tanto freddo
Attrezzature e preparazione
Per raggiungere le alte latitudini si devono percorrere mari spesso in burrasca e sovente le capacità marine della barca che si è scelta faranno la differenza tra navigazioni scomode, ma sicure oppure vere e proprie scommesse sulla sopravvivenza. È dunque indispensabile avere provato già in precedenza la propria barca in condizioni invernali ed essere certi che sia equilibrata e stabile, soprattutto alle andature portanti con mare grosso e chiglia sollevata. L’equazione da risolvere è la stabilità di rotta tra chiglia alzata e efficacia del timone. Questo è importante per l’efficienza e il consumo del pilota automatico, se non volete passare ore e ore a timonare con cattivo tempo. Spesso un timone semicompensato o compensato si rivelano i più adatti a non affaticare il pilota, che sia automatico o umano.
Le vele devono essere di buona qualità e alta grammatura, con cuciture rinforzate e raddoppiate. Se si strappano non troverete alcun velaio in zona. E deve essere possibile ridurle facilmente in caso di rinforzo del vento possibilmente senza dover uscire dal pozzetto o facendolo nel tempo minore possibile e in sicurezza. Per ciò è essenziale la preparazione dell’equipaggio, la dimestichezza con la barca e il suo affiatamento.
Gli alberi, i boma e gli eventuali tangoni devono essere semplici e robusti. Lo scorrimento delle canalette o dei carrelli rapido e automatico in modo che non si incastrino con il gelo e in caso di bisogno semplicemente liberando la drizza possano scendere. A prua meglio avere due vele: un fiocco/genoa non troppo grande e una trinchetta. Entrambe rollabili con un circuito rinforzato. Andare a prua a ingarrocciare le vele è un inferno con il freddo che vi taglia le dita e gli spruzzi che vi gelano in pochi minuti. Se il/i boma riescono a agire anche da paranco per caricare le merci e gli approvvigionamenti lateralmente avrete un “must”: spesso infatti caricherete da barche o gommoni venuti sotto bordo o direttamente da pescherecci incontrati durante il viaggio. Se avete abbastanza potenza elettrica a bordo montate due winch elettrici perché vi torneranno utili per ridurre la vela di prua o cazzarla in condizioni estreme.
La chiglia mobile dovrebbe permettere di potersi adagiare sul fondo a bassa marea, in caso di necessità. Ma se prevedete di farlo, provate a farlo prima quando siete ancora in acque tranquille e vicino a casa.
Il salpa ancora deve essere potente, se la barca può permetterselo sarebbe ideale che fosse idraulico. E la catena deve essere più dimensionata che in Mediterraneo, la misura superiore: se da noi useresti una dieci millimetri, lassù (o laggiù) sarà una dodici. Certamente dovrà essere possibile appennellare con facilità e poter armeggiare con un grippiale senza troppi impedimenti.
È indispensabile avere una spiaggetta a poppa comoda dove poter sbarcare dal tender con facilità. In questo caso i mancorrenti non sono mai abbastanza solidi e facili da afferrare. E io trovo di grandissima utilità uno spoiler poppiero (rollbar ndr) dove poter sistemare gli eolici, un paio di pannelli fotovoltaici e agganciare sotto il tender per le brevi navigazioni di trasferimento. Nelle lunghe andrà sgonfiato o issato a prua.
La grande autonomia è una delle caratteristiche essenziali di una barca adatta a navigare in mari freddi. Sia in energia che in cibo. E deve possedere un eccellente isolamento. L’alimentazione generale deve poter essere prodotta da eolico e fotovoltaico, limitando il consumo del gasolio al riscaldamento e all’uso del gruppo elettrogeno, a queste latitudini estreme spesso necessario.
La zona cucina deve avere una configurazione e una organizzazione ottimale, essendo indispensabile al comfort dell’equipaggio durante delle lunghe missioni. Anche il salone (la dinette) sarà sfruttata molto e sarà il luogo di lavoro e di aggregazione per eccellenza.
Le cabine saranno accoglienti anche se poco spaziose, perché più facili da scaldare. E non sono da dimenticare i teli anti rollio. Su Best Explorer, barca di 17 metri con 5 cabine, quella di prua era usata come dispensa e lasciata sempre fredda.

Best Explorer vista dall’alto

Foca di guardia nelle acque gelide
Burocrazia e navigazione
C’è un altro aspetto che non può essere sottovalutato ed è quello burocratico, dei permessi di navigazione e di entrata e uscita dalle acque territoriali dei paesi in cui si navigherà. Su questo punto è necessario essere previdenti e organizzarsi con molto anticipo, perché molte zone nei mari artici o comunque freddi sono vietate alla navigazione o regolamentate in modo severo. In alcuni casi sarà necessario ottenere dei permessi speciali o addirittura imbarcare un trasmettitore della posizione che monitori la barca e invii costantemente la localizzazione alle autorità, come successo a noi con Best Explorer in Russia. Oppure si è obbligati a segnalare ogni 12 ore la propria posizione via radio alle stazioni costiere della Marina, come invece accade in Cile. Questa necessità di adempiere a norme burocratiche e doganali è costante ovunque al di fuori del Mediterraneo appena si cambia paese. Ma in queste aree così difficili l’obbligo è ancora più stringente.
Una particolare attenzione va posta alla documentazione nautica, ai portolani, alla cartografia e alle notizie sulla navigazione. In aree difficili e poco battute a volte non sono disponibili carte nautiche dettagliate. In molti casi la cartografia è appena accennata o le zone ne sono completamente sprovviste. Bisogna dunque cercare con anticipo le informazioni presso chi già ha navigato in quelle acque o ricavandole con lunghe ricerche sui libri o sul web e richieste via mail. E dunque sarà poi indispensabile essere in grado di “improvvisare” nel caso ci si trovi a navigare in un’area dove non si ha alcuna carta, tenendo una navigazione stimata molto attenta e interfacciandola con le informazioni ricavate da log, profondità, rilevamenti a vista e radar.
Un ultimo consiglio: se state preparando un viaggio in luoghi lontani, verso Nord o verso Sud, non esitate a chiedere una mano a chi ci è già stato. Brevi consigli vi saranno forniti certamente in modo gratuito e disinteressato. Ma anche se voleste contrattare un consulente che vi aiuti alla preparazione del viaggio, ogni euro speso lo risparmierete al doppio durante il viaggio.
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When the going gets tough, the tough gets going…..
esattamente Roberto, esattamente. Sembra a volte facile il gioco, ma in realtà tra navigare in Med, in Oceano, alle latitudini “tropicali” et similia, è profondamente diverso che ‘più giù, o più su’ del normale: lì si richiede una preparazione senz’altro differente e poca superficialità.
In Antartide, nella mia breve esperienza, ho visto fondali molto profondi e la barca attrezzata con catena (25m) e cavo per 200. Su altre barche invece 200 m di catena, chi a prua (peso notevole…) chi invece con un rinvio quasi a centro barca e quindi in sentina.
Gentile Paolo, quelle da te indicate sono soluzioni possibili, Ciascuna ha vantaggi e svantaggi, ma penso che la scelta dipenda anche dal tipo di barca, dal suo peso, dalla sua propensione al brandeggio, dalla capacità dell’equipaggio di gestire eventuali rotture o incastri nel fondale.
Nella mia esperienza australe (e anche boreale) io avevo 100 metri di catena sull’ancora principale, 25 metri di catena più 100 metri di cima sulla seconda e una terza ancora per appennellare. Le tre ancore insieme mi è capitato di usarle solo una volta nella rada di Ushuaia.
Nei canali Cileni, come pure in quelli dell’Alaska e in altre situazioni simili la barca non poteva contare solo sull’ancoraggio, perché il 90% delle volte ci rifugiavamo in piccole anse o anfratti appena più grandi della barca, senza possibilità di brandeggio o di ruota. Quindi il sistema di ancoraggio prevedeva che dopo aver dato ancora si entrasse in retromarcia (a volte non era possibile e si entrava di prua) per poi sistemare con il gommone da 4 a 6 cime a terra, a tela di ragno. Per questo avevamo montato sia a poppa che a prua sui pulpiti delle bobine di cima da pesca galleggiante, facile da trainare con il gommone perchè leggera. Tali cime venivano agganciate a terra a alberi (raramente, perché in quei luoghi hanno un apparato radicale fragile), a rocce (tramite catene con grillo per evitare lo sfregamento e la rottura) o a picchetti. La procedura di ancoraggio poteva prendere fino a due ore in alcuni casi, quindi la navigazione andava prevista con largo anticipo, avendo pronto un piano di riserva se non due in alternativa. Infatti le carte nautiche della zona sono spesso imprecise o addirittura assenti. Non è stato raro il dover prima scandagliare a mano con il gommone. Non ultimo è l’effetto delle maree e delle correnti che in quelle aree, sia il Cile che l’Alaska o il nord del Canada come pure la Norvegia, raggiungono frequentemente i 6 metri (con punte superiori a dieci) e i 7 nodi di velocità (con punte a 12 nodi). L’aiuto principale per noi è stato il fantastico portolano dei canali Cileni di Giorgio Ardrizzi e Mariolina Rolfo, realizzato in 8 anni di navigazioni in quelle acque e con il contributo di decine di marinai e diportisti che vi hanno navigato.