Il sogno di molti: il banco da lavoro
E sì alcune volte i sogni dei liveaboard sono strani; e il banco da lavoro è tra questi.
La maggior parte dei velisti compra la barca per divertirsi, uscire a fare 4 bordi, magari regate o semplicemente farsi le vacanze; il punto in comune con le suddette attività è: non aver problemi!
Il liveaboard invece deve essere di fatto un bambino cresciuto (male) che però ha mantenuto le passioni dell’infanzia: smontare, rimontare, riparare, modificare, aggiungere, migliorare.
Per noi la barca è un grande giocattolo da mettere a posto continuamente e poi, solo poi, andare a vela e navigare.
Sembra quasi che viaggiare per mare non abbia sapore se non c’è da metter mano a qualcosa.
Va bene dai, questa è solo una verità; poi c’è quella vera che ci pone di fronte alle nostre scelte, avvenute per i soliti motivi riconducibili al peccato originale: la barca vecchia.
Chi compra una barca a vela per realizzare il sogno di viverci e viaggiare, spesso sceglie un veliero d’antan per vari motivi; uno su tutti il budget.
Alzi la mano chi non vorrebbe una barca nuova da 600 mila euro pronta alla boa… No, nel mio caso no, perché il 3R Project nasce proprio dall’esigenza di recuperare qualcosa di molto valido e di già prodotto. Tuttavia la provocazione andava fatta per rendere l’idea.
Ecco già questo basterebbe a fornire la logica risposta: che per via di un portafoglio semi vuoto, chi come noi per scelta, si è costretti a ricorrere a unità anziane da rimettere a posto.
L’altro motivo è di natura strategica: di solito chi ha armato prima di noi una barca con determinate caratteristiche, ha già affrontato diversi problemi e aggiustamenti; cosa per cui la barca è già bella che “rodata”; ma ciò non toglierà la nostra partecipazione al gioco, considerando anche la vetustà del mezzo.
Per chi volesse scegliere una barca partendo da baso solide, può leggere questo approfondimento oramai divenuto un piccolo cult.
Poi c’è la summenzionata passione per il bricolage: ricordo una coppia anziana ferma in un porto al confine tra Francia e Spagna, in una giornata plumbea di inverno; io e Basak alla ricerca della nostra prima barca; ebbene lei era intenta a riparare un qualcosa di tessuto grazie alla fidata macchina da cucire (altro cult da avere assolutamente!), lui a intagliare non so cosa di legno.
Questa scena mi piacque molto e in qualche modo mi proiettava a un futuro immaginario dove anche noi avremmo seguito le orme: la pace che la coppia trasmetteva era indescrivibile. Bellissimo.
Le difficoltà di avere un banco da lavoro
Lungo i nostri quasi 14 anni di vita a bordo su Yakamoz ho sofferto molto l’assenza di una zona dove poter martellare, ammorsare, svitare, trapanare e via dicendo; già solo prendere gli attrezzi mi costringeva a alzare il letto di passaggio, spostare quello, spostare quell’altro e trovare poi l’attrezzo necessario.
Dopodiché seguiva la ricerca di una zona dove mettersi a lavorare senza spaccare la barca o sporcare dappertutto: inutile dire che era sempre un compromesso continuo e snervante.
Tante volte ho valutato la possibilità di sacrificare una cabina a vantaggio del “sogno”; ma poi per mila considerazioni, non se n’è mai fatto nulla.
Ma gli dei solo sanno (insieme a Başak) quanto abbia bramato un banco da lavoro, una zona tutta mia dove mettermi a fare quello che volevo o dovevo, senza il rischio di impazzire…
E finalmente il banco da lavoro di Rebound
Liberata la sala macchine e in particolare la zona dove c’era il gruppo elettrogeno, ho capito subito che quella poteva essere la mia cabina dei desideri: e così è stato o meglio sarà.
Difatti diverrà un’area tecnica dove troveranno alloggiamento il dissalatore (con il giusto spazio per togliere i filtri, manutenzionare ecc.: altra circostanza che mi ha fatto soffrire per anni), il webasto e il mitico banco da lavoro con sopra un piccolo trapano a colonna, l’immancabile morsa e ovviamente la parete attrezzata con le principali chiavi, cacciaviti e via sognando.
Tramite una poltroncina da scrivania o sgabello girevole, “una volta riuscito a salirci”, questa diverrà funzionale come all’interno della torretta di un carro armato: in una posizione “sparerò viti”, nell’altra smonterò filtri.
Dicevo del “riuscire a salirci”, in quanto i sogni richiedono sacrifici e la barca è l’altare deputato a ciò; per quanto generosi gli spazi di Rebound, non possono essere chiaramente quelli di una nave; e il “lusso” che ora vivo, cioè una zona dove poter lavorare senza rubare spazi a cabine o altre zone “pulite”, (e bucare il tavolo della dinette), va pagato con un minimo di contorsionismo per accedere alla zona tecnica: entrato in sala macchine, devo superare il motore come Tom Cruise in Mission Impossible (ma già ho provveduto a tientibene posizionati strategicamente, più installerò un “arco” tientibene proprio sopra il Perkins), girarmi di fianco per superare con la testa l’esigua galleria di accesso e poi, finalmente, arrampicarmi sullo sgabello e… iniziare a lavorare!
Si può fare e soprattutto Si deve fare.
E ora invidiatemi e godetevi il video: Reuse, Reduce, Rebound!
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“SI DEVE FARE”
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Eh si!! Il dover smontare mezza barca per raggiungere il pezzo desiderato stivato nel gavone sotto la cuccetta è il problema di quasi tutti i velisti. E quindi, avendo spazio, banco da lavoro sia! Dalla descrizione non sono tuttavia riuscito a capire come riuscirai ad accedervi. L’unica cosa che mi pare di aver capito è che dovresti emulare il mitico Houdini. Bravo!
Ciao Bob, sapevo di sfondare una porta aperta di chiunque soffra tali disagi. Per l’accesso confermo Houdini 😂😅, ma non così estremo dai; dai un’occhiata al video forse alla fine puoi intuirlo meglio. Ma è un piccolo sacrificio che pago volentieri e so che sarai d’accordo con me
Grazie per i complimenti e buon vento a te