Qui puoi trovare l’episodio precedente del viaggio “Dalla Turchia alla Francia”
Alba, ennesima alba.
Nel silenzio della baia aliamo l’àncora, motore al minimo e la manovra si compie, come sempre, da anni.
Anche Roberto di comune accordo salpa con noi; solo le mete sono differenti pur se per un po’ saremo visibili uno all’altro: lui dirige verso Sanremo, dove è di base, noi le isole francesi, Îles d’Hyères per l’esattezza, o meglio (anzi peggio) il temuto Golfo del Leone.
Il Golfo del Leone
La prima e unica volta che ‘lambimmo’ tali acque spesso problematiche, fu nel 2008, in occasione del trasferimento di Yakamoz da Hyères per l’appunto a Fiumara Grande, Roma, Fiumicino.
Non solo non ce ne fregava molto data la nostra imperizia, incoscienza e esigenza di ‘andare’, ma soprattutto era il vento che tolto un primo tratto di bolina larga, poi diveniva leggiadro vista la poppa piena (o il tanto motore).
In fin dei conti l’unica esperienza acquisita era relegata a un racconto.
Nel continuo peregrinare alla ricerca spasmodica del guscio che ci cambiò la vita, passammo tra varie fasi, vetroresina compresa. In tale ambito conoscemmo il fiero armatore di un Amel Sharki, barca all’epoca tra le preferite. Non ricordo esattamente come ci incrociammo, probabile in qualche forum di vela, sta di fatto che il buon samaritano non faceva altro che cantare le lodi del suo guscio. Benintesi non era lui a vendere, cosa per cui le opinioni rimanevano scevre di opportunismo tranne quello genuino di ogni fiero armatore.
E ci raccontò di quando in pieno Golfo del Leone, solo, si trovò in un repentino peggioramento meteo, a tal punto da scontrarsi con il peggior lato che rende famose queste acque: onde imponenti e pericolose.
Per farla breve l’epilogo fu il ribaltamento della barca, vero e proprio 360°, e suo infortunio alla spalla che lo costrinse a lanciare il mayday!
Preso in salvo tramite elicottero della guardia costiera, la barca rimase per forza in balia degli elementi.
Fortuna volle che dopo pochi giorni lo Sharki venne avvistato in una zona poco distante dall’incidente, perfettamente galleggiante e priva di danni importanti (probabilmente disalberò).
Dunque al netto delle considerazioni positive sull’unità del cantiere Amel, rimaneva la sconvolgente storia di questo tratto di mare sferzato dal Mistral.
Non è difficile capire quanto ora la traversata ci rendesse almeno titubanti, di default, dato che poi le condimeteo di questi giorni erano tutto tranne che tranquille e prevedibili. Ed ecco anche perché non ci pensiamo due volte a salpare l’ennesima alba, di modo da consentirci maggiori miglia con luce solare e con un po’ di fortuna una sola notte in mare.
Anche qui come per la traversata precedente da Ponza all’Elba, non potevamo permetterci il lusso di “traccheggiare”: almeno 5 nodi di media necessitavano, vento o non vento.
Siamo rimasti con 200 litri di gasolio nei serbatoi e circa 50 litri in taniche: teoricamente più che sufficienti ma non eccezionalmente capienti. Vista la bonaccia iniziale prevista abbiamo messo in programma almeno 12h di motore, il che probabilmente significherà più o meno 100lt di gasolio, includendo la recente smotorata Elba-Corsica (in effetti avremo su per giù170 litri nei ‘tank di inox’, non 200…). Poi sappiamo che nelle isole francesi non ci sarà modo di far gasolio, a meno di recarci in costa, con tutti i se e i ma del caso; mancando poi almeno altre 65 miglia alla destinazione finale, Port Napoleon, imprevisti compresi, ripeto, siamo relativamente tranquilli.
Subito dopo poche miglia becchiamo 6 nodi di vento, purtroppo di poppa.
Complice un leggero mare incrociato (che novità!), non procediamo oltre i 2 nodi, il che come detto è inammissibile.
Comunque abbiamo un po’ di margine, per cui ce lo giochiamo e stringiamo i denti fintanto che la barca non sbatte o richieda la nostra vigilanza al timone; la randa è venuta giù per far spazio al fiocco e nessuna sorpresa all’orizzonte.
Va così per un’ora e prima della ‘pausa caffè’ “annusiamo” un paio di nodi in più di vento che nel frattempo ha girato leggermente verso S. In altre occasioni non ci avremmo fatto caso, ma trattandosi (forse) di una delle ultime navigazioni con Yaka, ecco la malsana idea balenarci per la testa; lo capiamo solo guardandoci negli occhi tanta è la nostra affinità: GENNAKER!
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E gennaker sia!
Questa splendida e colorata vela è la gioia e dolore del diportista solitario o in equipaggio ridotto. Studiata per venti leggeri (normalmente) e con un range specifico che va sostanzialmente dai 90/100° rispetto alla direzione del vento, fino ai 160° a essere buoni; ma non essendo come i “recenti” Code 0 (sogno delle notti di mezze estati future) ovvero armata su frulloni e strallo specifico, va svolta tutta una manovra a sé.
E dunque grazie alla pazienza e all’entusiasmo quasi commoventi per le ultime danze insieme, troviamo le energie per tirare fuori dal gavone il genny e ripensare alle manovre, circuiti, carica basso eccetera oramai archiviate nei cassetti della memoria; nonostante gli anni dall’ultima splendida navigazione a tutto gennaker, quale furono le 12 ore dall’alba al tramonto verso le Sporadi, magicamente nessun errore è stato commesso e tirata su la calza la vela esplode nelle sue tipiche cromie blu-viola-bianco.
Ci commuoviamo un po’, perché… perché non c’è un perché specifico; credo di aver raccontato abbastanza e quanto questo viaggio rappresenti molto, a tratti troppo.
Capiamo però che è stato solo un ‘alzabandiera’ dovuto, il vento è poco e a nulla valgono i tentativi più disparati per dare un senso all’esperimento: la velocità resta intorno ai 2 nodi, poco più. Vabbè, ne approfittiamo per qualche scatto fotografico, un abbraccio tra noi e ammainiamo il “genio della lampada” che evidentemente stavolta non ha potuto esaudire i nostri desideri.
E smotorata sia!
Il caffè viene a confortarci un po’, durante la conversazione tra il sig. Yanmar e Ovidio, come da programma d’altronde.
Passano le ore, Roberto è sparito dalla vista e il tramonto ci accoglie per compensare la tristezza della smotorata.
Vorrei raccontare di veleggiate gagliarde, adrenalina nel mitico Golfo del Leone, ma ahimè abbiamo a che fare solo con un micio fin troppo mansueto; ce lo prendiamo, anzi lo coccoliamo e ringraziamo, in quanto la stanchezza del lungo viaggio dalla Turchia compare ogni qualvolta molliamo un po’ la presa dall’imminenza; francamente ulteriori emozioni, nel caso specifico magari anche potenzialmente pericolose, è meglio lasciarle alle prossime volte, ora vogliamo solo arrivare. Iniziamo a non poterne più dello stillicidio di ricordi, di miglia percorse alla ricerca di noi stessi; perché a volte sembra proprio questo, forse più un esame, una linea di somma delle esperienze vissute, per testare la validità di quanto fatto sin qui .
Un’altra alba, i 1.500 giri del motore suonano ipnotici su un mare che definirlo olio è riduttivo; mai vista cotanta distesa d’acqua vellutata; grazie ai giochi di luce del futuro sole, sembra una fotografia improbabile, ritoccata; laggiù difatti scorgo delle luci e in un primo momento penso a delle nasse messe in formazione, cosa possibile e già vista nello Stretto di Messina; ma qui sembra trattarsi di un sistema più complesso, sofisticato, quasi riconducibili a strane esercitazioni militari (la mente pensa a tutto).
Avviso Başak certo della sua sorpresa, ma nello stesso istante in cui le faccio presente lo strano fenomeno, comprendo essere semplici riflessi di luce dovuti al mare di plastica e i primi raggi. Tento di dissimulare uno scherzo al quale evidentemente partecipo da solo, in quanto lei ha già capito.
Incassata la figura del pirla, saluto qualche nave da crociera di troppo e la sagoma delle isole francesi, laggiù a prua.
Passiamo le ultime ore a cercare il miglior approdo. Port Cross è piena, barche in quantità considerevole e su fondali sabbiosi misti ad alghe e rocce; spingiamo verso ovest fino ad arrivare a Les Porquerolles, dove dovremmo avere più chance. Così è, si apre una splendida baia, sempre piena di barche ma meno stipate e più importante un fondo di sabbia bianca ad accogliere la nostra Bugel; con una certa riverenza e rispetto cerchiamo di fare il tutto con il massimo silenzio possibile, molti dormono ancora e quei pochi accennano un timido saluto tra lo sbadigliare reciproco: ore 8:30, “bienvenue au paradise”!
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