Recentemente ho letto un articolo su La Stampa a firma del bravo Fabio Pozzo, riguardante la situazione delle regate oceaniche.
La sostanza dell’analisi verteva sul fatto che data l’attuale crisi targata covid, non solo i grandi impegni (direi in generale tutti) tipo Vendée potrebbero rimandarsi al prossimo anno, ma soprattutto di soldi non ce ne saranno più. In Francia ci si chiede dunque se non sia il caso di affrontare di petto l’ipocrisia, quale quella che portava a definire la vela come ecologica quando in realtà non lo è; ne parlavo difatti già nel mio libro “Si può fare”, dove facevo notare come nonostante ce la mettessimo tutta, noi velisti “siamo ben lontani dalla santità”.
L’antivegetativa, le energie fossili per produrre nuove unità, materiali altamente inquinanti, oli, filtri, gasolio per il motore, cordame soggetto a usura, vele, rame e plastica per gli impianti elettrici e via dicendo.
Alla luce di ciò i francesi pensano di ridurre le prestazioni concentrandosi su fattori davvero “green”, della serie cambiamo il challenge e spostiamolo sulla sostenibilità.

Bene, già inizia a piacermi l’approccio.

Non sto qui a fare la Cassandra scuotendo il dito per dire “ve l’avevo detto”, perché se il fine è decrescere, o meglio la consapevolezza di doverlo fare, il mezzo ‘virale’ con cui ci siamo arrivati potrebbe giustificarlo, nonostante tutto.
Perché il quadro si incastona in una previsione di un mondo differente da come l’abbiamo lasciato 3 mesi fa. Si parla a ben donde di crollo del globalismo, del vecchio capitalismo basato sull’iper consumo.
Da una parte mi chiedo il perché di tali previsioni apocalittiche; intendiamoci nefaste per chi legato a quel sistema di cose, ma auspicabili per una visione meno miope e di più ampio respiro… pulito.
Solo che mi sfuggono effettivamente le motivazioni. D’accordo, chiudere il mondo per 3 mesi ha visto crollare le economie, ma tempo un anno ho ragione di credere che tutto potrebbe tornare come prima.
Invece ricordo come fossero ieri le dichiarazioni di Giorgio Armani, il quale in piena crisi mistica, si accorgeva (alla veneranda età di 87 anni) fosse arrivato il momento di non produrre più abiti usa e getta, tornando a un’economia più sostenibile. Bellissimo, neanche nei più ottimistici sogni.
È come se davvero questa crisi avesse fatto scattare una molla nell’io di diverse persone; sembra quasi ci abbia messi di fronte all’effimerità della vita stessa, dandoci un ceffone per rinsavire da questo incredibile sogno impossibile che pensavamo di portare avanti all’infinito.
Dunque le priorità sono tornate la vita, la possibilità di camminare, semplicemente, una corsa lungomare, abbracciare parenti e amici. Cose basilari ma che abbiamo visto toglierci di punto in bianco, proiettandoci in un assurdo quadro distopico.

In tutto ciò ora tenta di collocarsi la vela, il diporto le regate.

Come note stonate e totalmente fuori contesto, siamo costretti non senza imbarazzo, a maneggiare argomenti divenuti difficili, poiché basati su quelle visioni oniriche scomparse d’incanto.
Parlare di foil, di planate, materiali alle nanotecnologie, elettronica ad intelligenza artificiale e quindi milioni di euro, quando a breve capiremo quante famiglie e aziende ridotte sul lastrico non potranno accedere alle normali esigenze di base, sul serio, è come minimo imbarazzante.
Chi mai potrà appassionarsi a uno show messo su per stimolare emozioni fuori luogo, anzi non più facilmente producibili? Significherebbe ostinarsi in una direzione oramai surreale e offensiva.
Potrei estendere analogo ragionamento ad ogni altro settore del lusso alle prese con la versione sportiva. Ma siamo in mare e parlo di ciò che mi compete.

Eccoci allora a sforzarci di essere credibili, tentando di non buttar via a piene mani settori che comunque hanno prodotto interessi, occupazione e risvolti tecnologici, economici, i quali purtroppo dovranno comunque reinventarsi.
Giusto il ragionamento francese, spostiamo l’attenzione sul green. Il problema è che a dispetto della bella idea, ancora siamo troppo incastrati nella vecchia mentalità produttiva.
E non per addivenire a qualche soluzione di approvvigionamento di materie prime, necessarie al fabbisogno umano, per tutti, nel mondo. Ma al contrario sempre per sollazzare quella parte di ricchi occidentali, inarrendevoli all’idea di veder tramontare l’epoca d’oro: in realtà falsa, poiché basata sullo sfruttamento dei paesi terzi.
Basta Rolex, Piguet, Prada e anacronismi vari! Spazio, abbiamo capito, non ce n’è più e pure se tornasse, non dovrebbe essercene.
Torniamo sul pianeta Terra e divertiamoci con ciò che abbiamo prodotto.

Qui la mia proposta: lasciamo perdere l’atteggiamento produttivo con la scusa del green, ma limitiamolo solo a quegli accessori che serviranno per rendere ecologiche le barche già costruite!
Questa è la vera strada green, se davvero l’interesse principe ed elevato è quello di non inquinare.
Abbiamo già gassato l’atmosfera, consumato petrolio, smaltito (non si sa dove e come) vetroresina in eccesso, carbonio, avanzi di vernici, scarti industriali eccetera, eccetera, eccetera.
Prendiamo i “vecchi” Imoca, i Vor, ma anche barche commerciali perché no, divertiamoci a rimetterle in forma, studiamo come renderle compatibili con l’ambiente e autonome a livello energetico. Progettiamo con intelligenza il riutilizzo delle vele esistenti. Lanciamo vari challenge per singolo settore. I velai ad esempio costruissero con quel che hanno, limitando al minimo i nuovi acquisti: chi sarà più bravo nel rapporto riutilizzo-prestazioni riceverà un premio ambito. I produttori di pannelli solari: ottimizzassero le giacenze, inventando, sperimentando. La trazione potremmo sostituirla con un sistema a pedale stile “battello del Mississippi”, perché no!
Lo scopo è green e vanno tirati fuori dai bauli impolverati anche idee una volta considerate ridicole o obsolete: siamo riusciti a progettare winch da manovrare con i pedali, non vedo perché non dovremmo applicare stesso principio per spostare le barche, special modo se da regata. Il cordame? Si usa quel che c’è finché buono e in sicurezza, non importa, e si procede così pensando al nuovo solo dopo aver esaurito il materiale esistente, già prodotto. Arriverei persino a organizzare un challenge per i produttori di cime, drizze e scotte alla vecchia maniera, intrecciando i trefoli.

D’altronde siamo qui a divertirci o cos’altro? Tiriamo giù la maschera per favore. Perché se lo scopo è questo allora il concetto è di dare due calci al pallone, giocando, sudando e assaporando quelle cose semplici che abbiamo così fortemente anelato in questi mesi di reclusione.
Al di là delle apparenti esagerazioni, alcune delle quali non sono solo provocazioni, necessita metter fuori idee, fantasia; occorre recuperare il piacere di far girare una trottola con il laccio, o improvvisare una macchinina con il cartone.
Rivediamo il concetto stesso di sport, sostituiamo la cultura aggressiva del superamento, del primeggiare con la partecipazione, la sperimentazione.

Il resto lo abbiamo capito, è inutile e pericoloso.

Prendiamo seriamente la nostra rinascita e diamo un messaggio disarmante proprio attraverso lo sport e le manifestazioni una volta appannaggio di milionari. Riavvicineremmo anche moltissima gente a tali manifestazioni; parlo di coloro i quali probabilmente potranno permettersi di acquistare un panino al chiosco vicino al mare, nel mentre si godranno la bellissima regata.
Pensateci, abbiamo dovuto organizzare una regata d’antan ricordando Moitessier, la GGR, perché in effetti si sentiva la mancanza del contatto con la realtà dell’uomo e del mare; l’avevamo intuito il disagio, ma non sapevamo esprimerlo correttamente, esplicitamente e con coraggio. Forse proprio non riuscivamo a decodificare l’esigenza di decrescita.
Ora ci siamo, ripensiamoci, rivediamo le priorità e utilizziamo le tecnologie per ben altri fini, magari per finalmente strapparci quella promessa non mantenuta dalla rivoluzione industriale: far lavorare le macchine al posto nostro, noi liberi di coltivare affetti, cultura, vivere.
Non commettiamo lo stesso errore due volte, la lezione deve servire a questo.
E quale rotta migliore se non quella indicata da una regata oceanica del riciclo?
Ocean Recycle Regatta! (Un’idea di Giampaolo Gentili, si sappia).

 

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