Sei anni fa mi contattò un ragazzo di 17 anni, tale Mr. Jack, che dopo essere incappato in una nostra intervista, fremeva dal chiedermi informazioni sulla possibilità di realizzare una barca.

La prima sorpresa fu la sua età chiaramente, così giovane e con idee ben definite per una splendida vita in libertà. Ma non sapevo che scorrendo di lì a poco gli altri caratteri, quella dell’età sarebbe stata una bazzecola al confronto delle altre questioni.
Intanto non aveva la più pallida idea di cosa fosse un natante, ma soprattutto il suo scopo era quello di riunirvi a bordo diverse tipologie di persone con le quali condividere una sorta di isola galleggiante.
Ricordo che provai una certa ilarità in un periodo tra l’altro in cui ero oggetto di attenzione mediatica, data la fresca uscita del mio primo libro (che potete trovare qui); si, tanti ammiratori, ma anche qualcuno sui generis oltre i soliti bontemponi.
In tutta sincerità pensavo rientrasse in quest’ultima categoria. Tant’è che impiegai parecchio tempo prima di rispondere all’interessante e assurdo quesito, cosa poco confacente alle mie abitudini di rispetto date le quali tendo a dare un riscontro quasi immediato.
Credo chiunque al posto mio non ci avrebbe perso neanche un minuto; ma dopo ampio rimuginio decisi di provare, premettendo a me e a lui, che indipendentemente trattavasi di uno scherzo o meno, mi sarei comunque divertito a ipotizzare un piano del genere.

La corrispondenza quindi iniziò e con mia sorpresa si protrasse tra l’incredulo e il serio; vari scambi allietarono le mie giornate, tra fantasiosi materiali di costruzione che il futuro “capitan Harlock” voleva utilizzare e dimensionamenti improbabili, dalle proporzioni più simili a una piattaforma che una barca. Devo dire che non tutto era campato in aria, e la sua idea iniziale denotava una certa accortezza. Allo scopo copio e incollo l’incipit della prima mail:

Hai presente il cartone animato (Anime) One Piece ?
Vorrei avere una vita simile, ovviamente la mia intenzione non è andare in giro per il mondo a scazzottarmi con la gente. Sono un ragazzo pacifico, tranquillo e ODIO LA VIOLENZA. Mi piacerebbe mandare a quel paese tutta questa tecnologia, ma la cosa con cui non voglio aver a che fare è la politica, la “schiavitù” dal lavoro, e risultare in meno luoghi possibili.
Banche, Poste, niente carte di credito, insomma tutte quelle cose che richiedono informazioni personali e continui controlli da parte dell’interessato, che voglio evitare. Vorrei usare solo soldi in contanti. Volevo farti delle domande, ma prima eccoti una descrizione su come vorrei organizzarmi…”.

Tutto a 17 anni!

All’inizio avrebbe coinvolto solo un amico e su una barchetta piccola non appena avessero compiuto 18 anni; successivamente il progetto prevedeva di raccogliere l’adesione di altre 10 persone con gli stessi ideali di vita, tra cui un medico di bordo e un carpentiere navale che costruisse la Caravella del cartone animato, lunga 15 metri e larga 8…
Dopo qualche scambio da buon samaritano e tanta comprensione, mi congedai dalle sue fantasie rimandandolo a più miti consigli, tra cui quello di conseguire almeno prima la patente nautica e semmai riaggiornarci a posteriori.
 

Qui puoi trovare i consigli per scegliere la barca “della vita”


Oggi, vivendo le vicende a tutti note, magicamente è rivenuto a galla il ricordo di cotanto scambio epistolare, che adesso mi sembra meno bizzarro di quanto lo fosse all’epoca.

Leggevo giorni fa diversi articoli di intellettuali, tutti più o meno calcanti l’adagio “non è più possibile andare avanti in questo modo”, così ho pensato “e se Mr Jack non avesse poi tutti questi torti?”.
Non riesco a redigere il presente articolo senza navigare in acque miste; da una parte vorrei solo abbracciare il concetto, stimolare riflessioni che portino il lettore a un cambiamento radicale della propria esistenza, dall’altra provare a gettare le basi di un progetto reale.
Ma dato che tutte e due le questioni sono una il complemento dell’altro, mi concentrerò sul secondo, la messa in pratica di un pensiero più ampio.
Perché realizzare “un’Arca della salvezza”, significa mettere al riparo la propria anima dalle intemperie di questo mondo, trasformatosi quasi in acerrimo nemico; da qui l’esclamazione, mai più pertinente di oggi, “fermate il mondo voglio scendere”.

Recentemente un caro amico, alle prese anche lui con il desiderio di cambiar vita, ha manifestato l’idea di acquistare una barca grande, coinvolgendo me e Başak e chissà anche un’altra coppia a lui cara; la cosa potrebbe sembrare accattivante e simpatica, se non nascondesse un’importante insidia tra tutte, la convivenza.
Ho dunque ricordato lui che una barca, per grande possa essere, non sarà mai un’abitazione. Sempre se parliamo di misure credibili e sostenibili sotto vari punti di vista. Pertanto, escludendo “A” (noto mega yacht a vela dell’oligarca russo Andrey Melnichenko), ci ritroveremmo dopo un po’ a non poterne più uno dell’altro.
Lasciam perdere poi le questioni economiche, pratiche, del tipo chi fa cosa e per quanto, eccetera; limitandoci alla mera quotidianità ci scopriremmo persone diverse, esseri umani senza sfera privata e costretti a spazi complicati. Già solo dopo 2 settimane con i migliori amici (o parenti) il rischio che il pesce puzzi è molto forte, figuriamoci una vita o semplicemente mesi.
No, un’Arca fisica per affascinante che sia, non è opzione psichicamente praticabile.

Allora che fare?

Creare una piccola comunità di liveaboard disposti a riunirsi!

Puntare il dito su alcune coordinate geografiche e verificare insieme i dettagli del Nuovo Mondo.
Perché se è vero che la vita sta sussurrando a molti “si salvi chi può”, il poterlo fare insieme ad altri sarebbe auspicabile, più divertente e “igienico”: riferendomi chiaramente all’insieme di equilibri (mentali soprattutto) a cui si rischierebbe di venir meno in un totale isolamento.
Non si tratta difatti di prender baracca e burattini e partire verso qualche atollo tropicale, dove certamente incontrare altri come noi, questo lo abbiamo già, ed è momentaneo: ognuno tornerebbe presto o tardi ai propri programmi.
No, parlo di qualcosa di diverso. Qui sarebbe necessario individuare la zolla di sabbia in cui scomparire; dove ‘nascondersi’ alla bisogna in caso venisse giù il mondo, immaginandoci un quadro distopico in cui magari saremmo soggetti a “obblighi sanitari” o sociali intollerabili. So che molti di voi comprendono già a cosa mi riferisca.
Dico spesso ai miei amici che da come si stanno mettendo le cose, entro 2 anni (a Bill Gates piacendo), vorrei farmi trovare pronto per salpare verso qualche isolotto sperduto delle Fiji; so per certo che ne esistano ancora di disabitati, alcuni addirittura inesplorati. Basta quindi scegliere bene e…
Ma anche la Svezia, i fiordi; Ushuaia; insomma ovunque potranno le nostre prue trovare un barlume di civiltà e speranza.

Se ad esempio riuscissimo a coinvolgere 10 persone, circa 5 barche o poco più, l’assurdo progetto potrebbe effettivamente diventare realtà.
Metteremmo a disposizione le nostre competenze. Başak si occuperebbe di una corretta alimentazione, Manuel delle questioni elettriche e di telecomunicazioni; Filippo il dentista (per cui teniamolo da conto); Laura da brava agronoma potrebbe insegnare e coordinare la coltivazione di quella sabbia apparentemente inospitale per le colture; e via dicendo.
Distanze. Abbastanza ma non troppo per possibili emergenze. Diciamo 200 miglia potrebbero bastare, forse più ma non meno.

E poi, fondamentale, una filosofia di vita differente.

Scordarsi di portare nel Nuovo Mondo le abitudini e i retaggi culturali; sforzarsi di vedere la salute come connessa al proprio bene interiore; accettare la vita e il suo epilogo: ho sempre sognato di ‘andarmene’ in mare o sulla sabbia, quale migliore uscita di scena!
Superare i paradigmi, slegarci dalla nuda vita per dirla alla Agamben, o in parole semplici continuare a vivere.

Si aprano le adesioni e si accettano suggerimenti

 

 

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