Potete trovare qui gli altri episodi: il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, il settimo, l’ottavo, il nono, il decimo, l’undicesimo, il dodicesimo

Buona lettura

E dunque siamo arrivati all’ultimo episodio di questo incredibile, lungo viaggio che ha tracciato avventure e record; non posso che ringraziare Nanni Acquarone per avermi omaggiato con i suoi scritti, sempre precisi e soprattutto pieni. Pieni di competenza, organizzazione per rotte che non si improvvisano e tanta umiltà. Difatti, sebbene come detto il Best Explorer si possa fregiare di record importanti, tra cui quello di essere la “prima barca italiana e seconda al mondo a completare il periplo dell’Artico in senso orario, l’arduo passaggio a Nord Est”, la sensazione che traspare dagli articoli è sempre di persone e equipaggi attenti, mai esibizionisti o alla ricerca di rischi inutili. Questa è per me saggezza e rispetto per il mare, note che apprezzo più di tutte.
L’unico rammarico è il fatto di non aver potuto leggere i racconti di Nanni su riviste di settore o vedere più spesso documentari, trasmissioni a lui dedicate; ma questo purtroppo appartiene al triste livello mediatico italiano, che di saggio ha ben poco.
A maggior ragione ringrazio ancora Nanni per la fiducia concessa al blog di SailyX, una piccola taverna di marinai fatta non di numeri ma di sincerità e aria di mare; forse, più importante, di libertà.

 

 

Viaggio senza tempo XIII: l’incredibile Passaggio a Nord Est!

 

2019. L’anno della seconda grande avventura è arrivato!
Al tempo in cui lavoravo per una grandissima impresa americana non era ammesso che i piani fatti a inizio anno non venissero rispettati. Nel fare i nostri siamo invece profondamente consapevoli della quantità di cose che potrebbero compromettere il successo, indipendentemente da quanti sforzi e intelligenza s’impieghino.
Da inizio anno il numero di ostacoli imprevisti e a prima vista insuperabili che ci troviamo ad affrontare è enorme.
Problemi allo scafo che richiedono interventi sostanziosi, indisponibilità di maestranze specializzate, rigidità da parte dell’autorità di certificazione, assicurazioni che cancellano le coperture, ritardi nella concessione dei permessi di transito e altro si accumulano e si intrecciano in un viluppo inestricabile, aggravato dalla difficoltà di operare da lontano e con grandi difficoltà di comprensione reciproca per via della lingua.
Però interviene ripetutamente a nostro favore la fortuna, che in verità non ci ha mai abbandonato, ma che opera secondo i suoi propri imperscrutabili ritmi, lasciandoci a lungo col fiato sospeso.
Alla fine, con l’ultima difficoltà risolta letteralmente la sera prima della partenza, molliamo gli ormeggi dal gigantesco porto di Osaka, esattamente sette anni dopo la partenza da Tromsø verso cui ora indirizziamo la prua.
Il viaggio si può considerare diviso in due tempi. Il primo, parte di turismo e parte di trasferimento, ci porterà fino in Kamchatka dopo aver navigato lungo le coste del Giappone. Il secondo, un’esplorazione vera e propria, vedrà la chiusura dell’anello intorno al Pacifico durato sei anni, il ricongiungimento con la traccia del Passaggio a Nord Ovest e, incrociando le dita, il completamento del periplo dell’Artico.
Ci sentiamo preparati al meglio delle nostre capacità.

 

Dal Giappone alla Kamchatka


Scivoliamo lungo il Seto Naikai, il mare interno del Giappone, con gli occhi aperti a cogliere gli stupefacenti aspetti di questo paese, le cui coste sono una continua sorpresa. Passiamo sotto ponti giganteschi, solidi ed eleganti, vediamo cantieri navali di dimensioni enormi di fronte a isolette tropicali deserte e paradisiache, incontriamo traffico marittimo intenso di navi che non lasciano la minima scia, passiamo lungo canali fitti di case e pescherecci ormeggiati e tutto ciò si sussegue vertiginosamente senza darci il tempo di prendere confidenza con la navigazione e col paesaggio.

Hiroshima e i suoi tragici monumenti, meta che non abbiamo voluto mancare, ci accoglie nel suo porto turistico praticamente deserto. Lì ci raggiungono Nicoletta e due amiche, vecchie conoscenze di Best Explorer. Ci portano in dono anche una troupe televisiva giapponese che sarà nostra ospite per qualche giorno riprendendo ogni momento della vita di bordo da cui trarranno una puntata di un seguitissimo programma tipo Grande Fratello che raccoglierà la bellezza del 7,4% di share, la più alta percentuale di tutte quelle ottenute dal programma!
Da Hiroshima passiamo sulla costa ovest in quello che è chiamato Mar del Giappone, tra questo e l’Asia continentale, attraverso un lungo canale spazzato da violente correnti che al nostro passaggio raggiungono i nove nodi, ovviamente favorevoli.
Qui diverse perturbazioni rendono le condizioni del mare poco gradevoli, cosa che non ci impedisce di fare alcune soste e di praticare un po’ di turismo prima di arrivare a Ine, una deliziosa baia dove le nostre ospiti ci lasceranno.
In una sosta in un porticciolo veniamo sottoposti a uno stringente interrogatorio a metà della notte dall’equipaggio di un guardacoste insospettito dal nostro arrivo notturno e terminato solo con l’intervento telefonico del nostro amico ed agente Noby. Curioso anche il modo indiretto di chiedere scusa da parte del comandante del guardacoste che mi porta in giro la mattina dopo a visitare i dintorni e mi regala un paio di tazze da tè fatte con le sue mani.
Commovente il breve periodo passato a Ine ospiti di Noby e di un suo amico che si fanno in quattro per noi e ci fanno gustare un gradevole assaggio dello spirito di questo enigmatico Paese.

 

Di corsa verso nord est


Rimasti soli, Danilo e io salpiamo per una navigazione veloce quanto possibile verso Kushiro, a nord nell’isola di Hokkaido, dove ci deve raggiungere Gianfranco che ha ottenuto i visti per la Russia e da cui abbandoneremo il Giappone per la Russia.

Il tempo promette calma e se non potremo navigare a vela almeno non subiremo incertezze nei tempi di percorrenza.
Entrati di nuovo in Pacifico attraverso lo Tsugaru-Kaikyo, cioè il passaggio largo dieci miglia e lungo una cinquantina tra l’isola di Honsu a sud e quella di Hokkaido a nord, accompagnati da un gioioso gruppo di delfini, invece di far rotta diretta verso Kushiro, più per curiosità che per necessità ci dirigiamo prima a Muroran e poi a Tomakomai, due cittadine sulla costa dove subiamo le inevitabili fastidiose pratiche formali e burocratiche e concludiamo che la deviazione non valeva la pena.
A Kushiro arriviamo col buio. Osserviamo, e sperimentiamo, che il mare è diventato assai più freddo calato in breve sotto i dieci gradi di temperatura: è il primo segnale che stiamo lasciando definitivamente la zona temperata.

 

Kushiro, ultima fermata in estremo oriente


Quando ci svegliamo siamo immersi in una fitta e fredda nebbia che ovatta i suoni e ci sprofonda di botto nell’atmosfera dei prossimi mesi.

Nell’attesa di Gianfranco facciamo quattro passi lungo la banchina. Il Giappone sta per riaprire ufficialmente in questi giorni la caccia alle balene, condotta almeno in parte sotto mentite spoglie negli anni passati, e noi ci fermiamo a osservare tre o quattro baleniere ormeggiate un po’ più avanti di noi incuriositi dalle attrezzature specializzate.
Gli scafi sono gli stessi degli onnipresenti cargo per il traffico costiero, progettati per la massima efficienza, ma la funzione di queste navi è chiara: il ponte totalmente sgombro è sovrastato da una trama di cavi d’acciaio e di pulegge che hanno l’evidente scopo di spostare le carcasse dei cetacei per la macellazione. Ci allontaniamo abbastanza disgustati da questi strumenti di morte. Immagino che le mie reazioni sarebbero ancora più forti se visitassi uno dei macelli dove non centinaia, ma centinaia di milioni di capi di bestiame vengono uccisi e fatti a pezzi ogni anno nell’indifferenza degli estimatori della fiorentina.
Festeggiamo l’arrivo di Gianfranco con un’allegra cena di pesce alla griglia in un ristorante a poche decine di metri dalla barca dove suscitiamo curiosità e calore umano dagli avventori entusiasmati dalla nostra navigazione (qualcuno lì sapeva perfino un po’ di inglese!).

 

Ciao Giappone


Il lungo arco delle isole Kurili unisce idealmente l’isola di Hokkaido con la Kamchatka e divide l’Oceano Pacifico dal Mar di Okotsk. Noi passeremo in questo mare subito a ovest delle Kurili entrando subito in acque russe e restando riparati dall’onda lunga del Pacifico.

Il meteo è favorevole, il mare tranquillo e splende il sole. Non dura. A metà pomeriggio ci troviamo immersi nella nebbia che ci seguirà fino alla fine: l’acqua è a meno di 9 °C e la temperatura va ancora diminuendo. Due giorni dopo entriamo in acque russe. Le isole Kurili appaiono e scompaiono nella nebbia mentre procediamo a motore sul mare calmo. Quanti vulcani! Ancora più che in Alaska. Scuri e proibitivi e fredde come sono, ormai la temperatura dell’acqua oscilla tra gli 1 e 2 gradi, non stupisce che siano quasi deserte.
I nostri sistemi di riscaldamento che erano andati in letargo da sei anni tornano in vita.
Siamo costantemente circondati da uccelli di mare, soprattutto berte e fulmari. Compaiono anche orche e un capodoglio. Compare anche un guardacoste russo che controlla a lungo i nostri documenti e ci lascia proseguire augurandoci buon viaggio con il regalo di un pacco di “pilmini”, ottimi ravioli russi simili ai nostri!
Un paio di giorni dopo, finalmente col sole e un’ottima visibilità riceviamo dopo una tediosa attesa il permesso di ingesso a Petropavlovsk.

 

Kamchatka, arriviamo!


Completate le pratiche di ingresso, con la scorta della polizia e con un simpatico poliziotto a bordo accompagnati da un numeroso branco di foche ci spostiamo allo Yacht Club dove ci stanno aspettando.

C’è un imponente Alexei con la esile biondissima figlia Anastasìa ad attenderci. Non lo sappiamo ancora, ma sarà per noi l’angelo custode che ci tirerà fuori dagli impicci innumerevoli volte fino alla fine senza chiedere nulla in cambio!
In successione arrivano Salvatore, Romolo e Nicoletta, quest’ultima per aiutarci negli ultimi preparativi prima della partenza e per visitare la costa, cosa che scopriamo delusi esserci assolutamente proibita.
Comincia un penoso lungo periodo di attesa per l’ottenimento dei numerosi permessi aggiuntivi necessari, con difficili contrattazioni tra noi, Romolo, interprete, Alexei e le varie autorità.
Così impieghiamo il tempo dell’attesa in qualche escursione, sottoposta anch’essa a numerosi permessi, in un po’ di manutenzione e nell’elaborazione di strategie alternative alle varie soluzioni insoddisfacenti esaminate man mano.
Il morale mio e del mio equipaggio è in rapida discesa.
Intanto si è sparsa la voce della nostra imminente (speriamo) partenza e riceviamo diverse visite anche della televisione locale che ci dedica un servizio.
Finalmente i termini dei nostri permessi vengono definiti a fronte di una meticolosa e vincolante pianificazione del percorso e dei tempi del viaggio e l’installazione di un segnalatore satellitare di posizione.
Ogni giorno che passa cresce la nostra fama e l’inattesa ammirazione della gente che ci considera letteralmente degli eroi. Sarà anche per questo, ma proviamo per loro una simpatia crescente. Ci sembrano molto simili a noi italiani ed è facile sentirsi a casa dopo anni passati tra popoli assai differenti da noi.

 

Si va a nord


È arrivata l’ora della partenza e molliamo gli ormeggi con i documenti e con un po’ di rimpianto per amici che probabilmente non rivedremo più.

Il tempo è favorevole con solo un po’ di vento e di onda da sud, ma Romolo comincia a sentirsi poco bene. Non ha mai sofferto di mal di mare ed è il primo ad esserne sgradevolmente sorpreso. È uscito da poco da un periodo di convalescenza e la relativa debolezza può esserne la causa. Gli facciamo coraggio.
Compare un guasto a un componente secondario, ma vitale, del motore che sembra irrimediabile. Nel cercare una soluzione ci inoltriamo dopo aver ricevuto i necessari permessi nella poco profonda laguna di Tilichiki, una cittadina sperduta e dimenticata da Dio e dagli uomini, dove il responsabile locale dell’FSB ci fa ancorare in modo da tenerci d’occhio in continuazione.
Danilo è un mago e nel giorno del suo compleanno riesce a risolvere il problema. Ripartiamo nel mezzo di una perturbazione per non aumentare ancora il ritardo accumulato.
Il cielo, ora che siamo più a nord, è coperto e il mare ospita un’incredibile quantità di uccelli marini, berte, urie e pulcinelle di mare che si raggruppano per miglia e miglia lungo una fascia parallela alla nostra rotta, là dove due correnti cariche di nutrienti si uniscono.
Providenyia, la nostra prossima meta, ci riceve a metà di un fiordo scuro e deprimente, dove accostiamo a un rimorchiatore che ci salva dal dover ormeggiare a una vecchia banchina rugginosa adatta solo a delle navi.

 

Un assaggio di Artico


Tutta l’atmosfera opprimente dello stalinismo è fisicamente ancora molto presente in questo posto remoto, a poche miglia dallo Stretto di Bering. Relitti spiaggiati, scarichi di dubbia pulizia che scrosciano sui sassi del greto, carichi che si deteriorano sulle banchine, condomini a schiera malandati e una vita cittadina quasi inesistente lungo le strade sterrate che fasciano i fianchi scoscesi del fiordo non sono fatti per rallegrarci.

Sergei, il nostro simpatico contatto locale, fa invece di tutto per renderci piacevoli i pochissimi giorni di permanenza e ci introduce un po’ meglio alla vita del posto organizzando una visita privata al piccolo e sorprendente museo artico e invitandoci a una festa locale nelle sale del comune.
La festa del comune è la seconda che vediamo e praticamente l’ultima occasione che abbiamo per gettare un’occhiata sui costumi delle popolazioni locali. La prima era stata vicino a Petropavlovsk dove l’esuberante ed entusiasta proprietaria di un centro sportivo e culturale ci aveva invitato ad assistere a uno spettacolo di danze dei Koriaki, una delle popolazioni autoctone della penisola. Qui sono i Chukchi a danzare e cantare, insieme a Russi e Ucraini.
Le somiglianze tra le culture del Grande Nord, dai Sami in Scandinavia a questi abitanti dell’altra estremità dell’Eurasia agli Inuit e agli Aleuti dell’America sono sorprendenti. È un unico sottofondo di usi, riti e credenze che ancora sopravvivono oltre il circolo polare e che ci parlano con voce flebile da un passato sciamanico ormai lontanissimo dalla nostra esistenza e che rischiamo di perdere per sempre.
Una volta di più siamo impediti nel nostro desiderio di apprendere e vedere di più e gli stessi abitanti locali sono dispiaciuti nel pensare a quante meraviglie dovremo rinunciare non potendo deviare dalla nostra rotta.

 

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Ricuciamo le tracce


Salvatore e io non possiamo nascondere l’emozione nel passare di nuovo tra le due isole Diomede, proprio sopra la traccia del nostro precedente transito, coi nostri amici accanto molto curiosi di questa esperienza che pochi fanno. Il paesaggio è ancora più cupo della volta scorsa. Le due isole e il minuscolo insediamento di quella americana, il posto più deprimente sulla Terra, sono velate dalla foschia sotto un cielo plumbeo che stilla umidità. Trichechi e infiniti uccelli di mare sono i soli a ravvivare un po’ l’ambiente mentre procediamo a zig zag tra i bassifondi del passaggio.
Poi svoltiamo decisamente verso nord ovest nella nebbia che è calata fitta e fredda: davanti a noi ci attendono quattromila miglia sconosciute.
Tra giorni di sole e di mare calmo e improvvise tormente di prua sfiliamo lungo queste coste artiche ondulate e collinose, più attraenti comunque di quelle piatte e desolate dell’Alaska artica, con una gran quantità di uccelli marini che ci accompagnano. Fra poco scompariranno tutti.
La baia di Pevek ha un’aria estiva mentre la cittadina si annuncia in distanza con una nube di fumo nero che si alza dalle ciminiere della centrale elettrica a carbone.
Accostiamo a una chiatta semiaffondata con il contatto locale e i suoi amici che ci aiutano con le cime. Ci fermiamo giusto il tempo di organizzare il rifornimento di acqua e gasolio, che come a Providenyia vengono risolti prendendoli, sospettiamo di frodo, dal rimorchiatore accanto.
La cittadina è assai più prospera di Providenyia, forse perché di qui è originario Abramovich, uno degli oligarchi fedeli a Putin, forse perché c’è lavoro alle miniere d’oro il cui minerale è ammucchiato in pacchi ordinati sulla banchina in buono stato del porto, pronto per essere spedito da qualche parte in Cina per la lavorazione.
Una notte ci conducono a vedere di nascosto il nuovo porto in costruzione dedicato alla centrale nucleare galleggiante in arrivo, che ci dicono essere off-limits per tutti. Ma poi il nostro accompagnatore posterà tutto felice su Facebook le foto che ci ha fatto.

 

Mar della Siberia Orientale, Mar di Laptev e Mar di Kara


Partendo per Tiksi, la nostra prossima sosta, cominciamo a solcare questi mari dai nomi quasi sconosciuti ai più. Il tempo è scuro e nebbioso e incontriamo i primi ghiacci galleggianti che impressionano non poco i nostri tre amici che non ne avevano mai visto. Non sono che un misero residuo di una placca in rapido dissolvimento e che una settimana prima era assai più compatta ed estesa.
Per alcuni giorni il vento da NE ci è favorevole. Il clima è ormai decisamente artico, coperto e con occasionali nevicate, ma la progressione è buona e al passaggio tra la costa e le isole della Nuova Siberia, dove hanno da poco trovato la prima mummia congelata di un orso delle caverne ci accoglie un bel sole e una rotazione del vento da SE che attenua anche il moto ondoso così fastidioso per il povero Romolo.
Tiksi sembra un eden: banchine in buono stato, tempo bello quasi caldo, persone ad attenderci. Tra loro, ce lo aspettavamo, anche due sentinelle con le armi in pugno: ci è vietato scendere a terra se non per le operazioni di ormeggio. Dall’altra parte del bacino c’è una nave che sta sbarcando materiale militare: ecco il perché. In pochi attimi il tempo peggiora, fa freddo e nevica. Assicuriamo le sentinelle che non ci muoveremo e le mandiamo a scaldarsi al coperto.
Lo spedizioniere della nave di fronte a noi ci racconta, con foto, di essere stato speronato poche settimane fa da una vedetta nordcoreana mentre stava veleggiando in acque internazionali tra il Giappone e Vladivostok. Le preoccupazioni dei giapponesi avevano una base solida!

 

La tratta più lunga


Partiamo con tempo nebbioso e con la bussola e le radio impazzite. Strano, non era così all’arrivo. C’è l’ipotesi che ci sia qualche interferenza militare in atto.
Abbiamo da percorrere più di duemila miglia senza possibilità di rifornimento. La sosta a Dikson, a metà strada, che speravamo di poter fare non ci è stata concessa. Per questo abbiamo venti taniche di gasolio aggiuntive sistemate sul ponte e abbiamo riempito i serbatoi.
Ci aspettano diversi punti critici. Il delta del fiume Lena ampio più di cento miglia da percorrere entro le acque territoriali con bassifondi non cartografati. Poi Capo Celyuskin, la terra più a nord dell’Eurasia, a 77° 45’ N dove potrebbe esserci ghiaccio e infine, assai oltre, il Karskyie Vorota, lo stretto tra le lunghe isole della Nuova Zemlyia e il continente, dove le correnti potrebbero creare problemi. E la vicinanza del polo magnetico? E le perturbazioni? Ci sarà tempo per beccarsi di tutto.
Infatti, la navigazione diventa interessante. Dapprima sul mare calmo, poi di bolina larga in condizioni severe. Siamo dispiaciuti per Romolo che in queste condizioni soffre. Gianfranco fa del suo meglio per assisterlo.
Quando il vento diminuisce arriva la nebbia e quando questa si alza ammiriamo il nostro primo iceberg, che appare e scompare con la caligine lasciando dietro di sé l’usuale corteggio di pezzi di ghiaccio che oggi si vedono bene: il mare è ragionevolmente calmo.
Purtroppo, il meteo, con una previsione molto brutta da nord, ci mette la coda e non lascia che ci spingiamo più a nord fino al confine del pack come avremmo voluto. Sarebbe anche stato bello mettere piede a terra sull’estremo nord del continente, ma l’unica cosa che possiamo fare è dare le nostre generalità alla stazione di controllo di terra.
L’arcipelago dove contiamo di ripararci, così promettente in apparenza è quasi tutto vietato perché è un parco naturale.
Dopo un giorno e una notte passati all’ancora, non appena il vento si attenua salpiamo dalla baia sassosa, desolata e deserta dentro cui ci siamo rifugiati. Peccato che poche ore dopo siamo di nuovo a lottare col vento sul muso mentre nevica abbondantemente.
Dopo due giorni di navigazione sgradevole e di vento che ruota spesso, segno di forte instabilità, troviamo nuovamente riparo dentro un’altra baia ben protetta, tutta circondata da un cordone di spiaggia sassosa e bianca di neve, con la presenza spettrale di due baite abbandonate, ma che ci permette di ristorare le forze nella notte mentre soffia a più di 30 nodi.
La mattina dopo proseguiamo coperti di neve.
Isole nere e basse ci passano accanto a poca distanza nell’aria scura, indistinguibili l’una dall’altra. Senza GPS navigare qui sarebbe un incubo!
I giorni passano e il meteo si fa di nuovo pessimo. Una forte tempesta da est ci colpirà nelle prossime quarantottore. Senza ovvi ripari a disposizione chiediamo lumi allo shore team, ma anche loro mancano di informazioni.
Solo la penisola dello Yamal coi suoi estesi bassifondi ci può dare riparo. Un posto sembra accettabile, ma è a duecento miglia da dove siamo noi. Mi dirigo là, ma l’ultima giornata prima di ancorarci a mezzanotte è davvero penosa.
Ci prendiamo un giorno di riposo, anche pensando al povero Romolo. Partiti presto la mattina dopo, quando tutto il peggio è ormai passato, troviamo ancora un bel mare lungo.
Il passaggio del Karskyie Vorota è molto meno problematico del previsto. Si può sfilare lungo la costa sud al riparo di diverse isole e rocce. Lo stiamo percorrendo mentre qualcosa si guasta nel pilota automatico: una buona scusa per fermarsi un attimo tra questa costa finalmente varia e gradevole.
Il guasto è cosa da nulla. Danilo, uscendo dalla riparazione nel gavone di poppa, nota una strana roccia bianca sulla costa che gli sembra muoversi. Lo prendiamo un po’ in giro: è la testa che ti gira, sei stato troppo di sotto!
E invece no, si muove proprio! Sono stupefatto: è un’orsa polare col suo piccolo già ben sviluppato. Cosa ci fa qui a migliaia di miglia dal ghiaccio? Ed è anche ben pasciuta. Ci avviciniamo con la barca e l’orsa leva il muso e ci annusa, poi si muove verso la spiaggia sottostante e col piccolo al seguito entra in acqua nuotando verso di noi, senza paura!
I miei amici, compreso Salvatore che ne aveva solo visto uno da lontano, sono eccitatissimi. È davvero un magnifico animale e il piccolo sembra proprio un grosso peluche.
Arriva a una quindicina di metri da noi, ci osserva un po’, nuota parallela a noi e poi decide che non la interessiamo e se ne va, col piccolo che si fa trainare. I miei compagni hanno ben speso il loro tempo anche solo per godersi questo spettacolo!
Un guardacoste ci sottopone a un’ultima verifica prima di entrare nel Mar di Barents e uscire dalla sezione della rotta maggiormente controllata, sembra siano preoccupati che noi si ospiti dei clandestini.
Il Mar di Barents ci accoglie con un clima più dolce. Forse è la maggior temperatura dell’acqua. Anche il cielo ha un aspetto diverso.
Ormai siamo fuori dei limiti del Passaggio a Nord Est. Un po’ della tensione che ci ha accompagnato finora si è sciolta e queste ultime seicento miglia sembrano nulla. In effetti è una navigazione senza storia e finalmente col cielo più aperto vediamo le aurore boreali.
Incontriamo un’ultima contrarietà all’ingresso del fiordo di Murmansk, mentre il vento cresce per l’arrivo di un’altra perturbazione. L’ingresso ci viene negato: sembra che siamo arrivati oltre il tempo concesso! Mentre ci disponiamo ad attendere alla cappa, preoccupati, nervosi e stanchi, i nostri angeli custodi, Alexei a Petropavlovsk svegliato nel mezzo della notte, e Slavo a Murmansk si danno da fare per risolvere il problema.
Ci vogliono quasi quattro ore di consultazioni concitate prima di capire che le carte, che erano a posto, si trovavano soltanto in un altro contenitore della capitaneria!
Permesso di ingresso accordato! Lungo fiordo con molto traffico e infine ormeggio accanto al famoso rompighiaccio Lenin, il primo rompighiaccio atomico, brindisi col gigantesco Slavo e finalmente riposo. Il Passaggio è compiuto.

 

Ritorno a casa


Romolo è molto provato e decide di tornare subito a casa per un controllo medico: non è normale né per lui né per nessuno soffrire di mal di mare per due mesi. Per fortuna non scoprirà nulla di brutto, devono davvero essere state soltanto le conseguenze della convalescenza.
Noi quattro rimaniamo solo quel tanto che serve per rifornirci, preparare le carte per l’uscita dalla Russia e concederci una visita al club nautico di Slavo, un delizioso angolo di foresta su un lago splendido dove ci rilassiamo sorbendo il tè e osservando gli scoiattoli a un metro da noi.
Salpiamo presto per sfuggire a un’altra perturbazione in arrivo da nord che promette di esser ben tosta. Da qui all’ingresso nei fiordi norvegesi ci sono trecento miglia, un niente per noi.
Capo Nord visto dalla barca è uno spettacolo inusuale, ma da qui è piuttosto brutto e vale solo perché diventa l’occasione di un penultimo brindisi.
Ormai ci prendiamo il nostro tempo con tranquillità: più niente pratiche burocratiche, acque per lo più protette, l’appuntamento per i festeggiamenti fra qualche giorno e solo più duecento miglia da percorrere. Una vacanza.
Ci fermiamo in qualche ancoraggio che non avevo ancora esplorato, ci guardiamo intorno, incontriamo delle orche, vediamo la prima neve sui monti e i colori dell’autunno e infine ci presentiamo al pontile di Tromsø all’ora concordata.
Solo le famiglie e Nicoletta ad attenderci festanti per l’ultimo brindisi, niente fotografi né giornalisti, a dispetto delle assicurazioni dell’Ambasciatore italiano e di tutti i patrocini ricevuti.
Ma chi se ne importa! Noi quello che avevamo promesso e che ci eravamo ripromessi l’abbiamo fatto. Abbiamo superato i nostri limiti ancora una volta, che poi abbiamo stabilito anche uno o due record è una soddisfazione in più.
La barca viene tirata in secco e a causa della pandemia ci resterà assai più a lungo del previsto. Oggi è ancora là, in attesa.

Anche l’Artico e là. Aspettaci, arriveremo appena possibile…

Ecco le altre foto dell’avventura:

Nanni AcquaroneNanni Acquarone
Skipper ed Expedition Leader
Sito web: https://www.nordovestitalia.org/
Facebook: avelainoceano
Youtube: avelainoceano
Twitter: @veladurasail
Il lungo viaggio: https://www.youtube.com/watch?v=8XlZ4bfCueI

Chi è Nanni:
Comincia a navigare, prima in Mediterraneo e dal 1967 sempre come skipper, poi dal 1983 nel Baltico e nella Manica.
Dal 1995 ha preso a organizzare spedizioni e a solcare tutti gli oceani, visitando Portogallo, Golfo di Guascogna, Olanda, Canarie, Madera, Isole del Capo Verde, Azzorre, Patagonia, Isole Falkland, Capo Horn, Scozia, Irlanda, Thailandia, Malesia, Nuova Scozia, New England, Columbia Britannica, Baja California e Isole Fiji, Far Oer, Islanda, Jan Mayen e Norvegia.
Dal 2008 naviga con Best Explorer alle Isole Svalbard nell’Artico tra i ghiacci, spingendosi fino oltre gli 80° nord.
Ha condotto Best Explorer lungo il Passaggio a Nord Ovest (prima barca italiana) e poi in Pacifico per sei anni, scendendo le coste americane fino in Messico, visitando le Galapagos, le Marchesi, le Tuamotu, Tahiti e le isole della Società, le Cook, Niuè, le Tonga, le Fiji, le Vanuatu, la Nuova Caledonia, l’Australia occidentale, la Papua Barat indonesiana, Celebes, Sulawesi, le Filippine fino in Giappone, accumulando un’esperienza lunga quasi 100.000 miglia.
Nel 2019 ha compiuto il Passaggio a Nord Est, prima barca italiana e seconda al mondo a completare il periplo dell’Artico in senso orario (decima in assoluto)

Il racconto dettagliato della preparazione e dello svolgimento del Passaggio e scritto a quattro mani da me e da Salvatore è reperibile nelle librerie specializzate e su Amazon. Il titolo è “Senza bussola fra i ghiacci” edizioni Mursia di Giovanni Acquarone e Salvatore Magri.

 

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