Qui puoi trovare l’episodio precedente del viaggio “Dalla Turchia alla Francia”
Il bagno
Nonostante la stanchezza del viaggio, non riusciamo a svenire oltre 2 ore sul letto; i cicli cardianici son quelli e anche una buona doccia necessita.
L’acqua è meravigliosa, cristallina come non la vedevamo da molte miglia, rimane solo di tuffarsi.
“Basak quanti gradi fanno lì dentro?”…La risposta tarda ad arrivare, il che significa solo una cosa, brutte notizie. “21°!” Merda.
I miei record personali mitigano la non lieta novella; ricordo ancora un bagno a 16° in pieno aprile a Marmaris sempre per “esigenze igieniche” (odio la doccia interna). Dunque con un po’ di coraggio e invogliato dalla bellezza che ci circonda, un, due e tre, splash. È fredda. Nessuna mitigazione.
Başak anche capisce di non avere alternative e mi segue con rassegnazione. Solo che accade qualcosa di mai visto: stravolgendo le leggi della fisica, riesce praticamente a rimanere sul pelo dell’acqua nonostante la forza cinetica del tuffo! Il bagno, se 16 secondi e mezzo bagno possa essere, diviene qualcosa di mistico, vicino al miracolo.
Il sole per fortuna non manca e la sensazione di conforto data anche dal caffè è tale da sprofondarci in una pausa contemplativa. Tutto intorno difatti sembra proiettarci magicamente in una baia turca: pini, alberi vicini la battigia, acqua turchese. La rada di “Alycastre” è un posto che ci fa star bene e dove potremmo rilassarci qualche giorno.
Pianificazione
Ma la mente va, ormai è calibrata e addestrata a due tipi di ragionamento: uno onirico, l’altro pragmatico.
In ogni articolo su questa avventura ho ripetuto trattarsi di un trasferimento e trovarsi a poca strada dall’arrivo è il classico “ultimo miglio”; il più difficile quindi, mentalmente parlando.
Si tende a mollare, cercando un po’ di ristoro; se vogliamo anche una scusa per rimandare quello che in un’altra chiave di lettura può sembrare “l’evento infausto”. In ogni modo la si voglia vedere ciò che ha accompagnato la nostra avventura è stato un fattore imprescindibile: la prudenza.
Siamo difatti al 2 settembre, il meteo abbiamo capito essere molto ballerino ed è bene sfruttare ogni finestra disponibile per raggiungere la meta.
Troppi sacrifici abbiamo fatto per arrivare sin qui da dilapidarli per un nulla, un capriccio dell’ultima ora.
Punto meteo. Fra 2 giorni dovrebbe arrivare una botta da NW e dove siamo ora è protetto solo dai quadranti meridionali. Potremmo andare in costa più a NW verso Hyères è vero; ma nelle prossime 48 ore ci sarà alternanza di S e N. Soprattutto il giorno, anzi i giorni della buriana, si verificherà una strana altalena a seconda della nostra ipotetica posizione (probabilmente dovuta alle differenti orografie o posizione della perturbazione che sembra concentrarsi proprio in mezzo tra noi e Port Napoleon); pertanto nella stessa giornata potremmo avere NW forte alla foce del Rodano e un giro di SW a Hyères. Non è una bella situazione e non se ne vede fine almeno per tutta la settimana a seguire; il che significa piena roulette russa e noi costretti a fare avanti e indietro tra costa Hyères e questa magnifica rada.
Riferisco a Başak la situazione e lei, ben sapendone il significato, inizia a “scalciare come una dolce bambina”: non ne può più, lo so, e la lascio sfogare con me, “incapace di godermi qualche giorno di relax”; l’altra verità è che vorrebbe anche procrastinare l’addio all’amata figlioccia d’alluminio, ma le faccio presente (senza successo) che almeno per quanto mi riguarda, l’addio è avvenuto salutando l’Egeo.
Tentiamo di assaporare come possibile quel che resta del giorno, domattina, all’alba (speriamo l’ultima) salperemo per tentare di trovare riparo nelle isolette davanti Marsiglia, consigliateci dal futuro broker.
Verso la destinazione finale
Arriva dunque l’ennesima ora antelucana, la sveglia suona, gli occhi si aprono e cominciano i soliti meccanismi oramai automatizzati: sciacquata alla faccia, caffè, mini colazione, vestizione e si salpa.
Nel silenzio più totale facciamo un po’ di gincana tra barche e boe di segnalazione (qui molto presenti) salutando la baia di Alycastre, promettendo anche a lei una prossima visita senza fretta.
L’altra cosa che dava fastidio alla mia compagna di viaggio era la possibilità quasi certa di un’altra smotorata, benché messa in conto nel totale. Ma la fortuna spesse volte aiuta gli audaci (in questo caso in realtà mi dice proprio culo: era l’unica possibilità per mitigare il muso di Başak) e esce un vento da terra, inaspettato e a tratti gagliardo: va bene si, ci contavo un po’, termiche, giochi e giri di vento… ma no dai, è stato culo, nudo e puro culo!
E quindi colazione in pieno relax sotto vela e Ovidio al timone; caffè delle 11; parole; speranze; la costa scorre in maniera leggiadra; un ciao anche a Toulone; molte barche a vela a farci compagnia, a conferma della cultura marinara dei francesi: non importa se con 7 metri o 20, loro la prima cosa che fanno è alzare le vele, a priori; inoltre noto come molti “ostentino” una bandiera nazionale dalle dimensioni risibili; questo conferma quanto compresi da tempo, cioè che essere nazionalisti non sempre coincide con una dimostrazione fallica quale il feticcio che può essere lo stesso vessillo; davvero qui alcuni armatori girano con un fazzoletto tricolore; se penso alle discussioni italiche sulle dimensioni necessarie, mi vien da ridere (e da piangere); noi, nazionalisti solo per le partite di calcio, presi da “complessi di inferiorità” e bandiere deltaplaniche a pelo d’acqua con cui orgogliosi simboleggiare ciò che non siamo.
Le varie divagazioni ci portano di gran carriera a Marsiglia. Il panorama è unico, la chiesa di Notre Dame che spicca su tutto e quell’aria “marsigliese” appunto un po’ d’antan e multiculturale che si respira già nella brezza marina.
Confidando nelle mappe e nell’ottimismo di Philippe, a 2 miglia dalle isolette ammainiamo tutto e procediamo a motore; il vento aumenta e ci troviamo anche in mezzo a una regata locale che costringe lo Yanamr a continui aumenti di giri onde evitare incroci antipatici, spesso voluti, diciamolo, dai birbanti cugini, forti della loro precedenza.
Abbiamo una serie di opzioni per dar fondo, almeno così pensavamo. Con nostra grande sorpresa, baia dopo baia, verifichiamo essere poco più di loculi atti ad accogliere 2 barche di non oltre 9 metri: ci risiamo con le indicazioni sballate ad opera di velisti un po’ troppo ottimisti, portolani redatti da derivisti e broker che evidentemente non hanno un’esatta percezione dello stare alla ruota. Considerando la buriana in arrivo e fondali di circa 5/8 metri non ci sarebbe materialmente lo spazio per sentirsi al sicuro.
Dopo un’ora di perlustrazione, la felicità per essere arrivati alla tappa intermedia prima dell’ora del tè svanisce; non resta che proseguire, verso le baie appena prima di Port-Saint-Louis-du-Rhône, zona “Port de Carro”.
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Solo fiocco, vento in poppa, affidiamo ancora il timone al pilota automatico e Başak mette il bollitore sul fuoco. Vista la recente esperienza non ci creiamo più nessuna illusione di approdi adeguati, pertanto anche l’orario di atterraggio non ci preoccupa; e poi abbiamo da percorrere solo altre 8-9 mn, alle brutte accenderemo il motore e chiuderemo la questione il prima possibile.
Ancora barche a vela, bordi su bordi, giocano da sole o in compagnia: i francesi hanno una marcia in più, nulla da dire; capisci quello che per noi era chiaro sin dalle prime uscite con la barca scuola, ovvero il concetto di andar per mare, romantico, lento, rispettoso degli elementi e del prossimo; nessuno mette in dubbio le prestazioni sportive e agonistiche, ma in linea di massima c’è sempre un approccio “moitessieriano” prima che “tabarlyano”; lo vedi dallo stesso “Le Cam” nella recente Vendée Globe… si va, a priori, barca vecchia o nuova, vincere è un dettaglio. In poche parole percepisci l’amore per il mare e la vela, nient’altro (complimenti allo sdentato e simpatico francese per il salvataggio del collega “Escoffier” – un nome un programma verrebbe da dire).
Dopo un’ora e mezza avvistiamo la serie di baie che in teoria dovrebbero offrirci ridosso dal Mistral su fondo sabbioso; confortante vedere già qualche barca alla fonda, ma noi vogliamo verificare proprio la rada antistante il porticciolo di Le Carro: ci piace l’idea di essere a portata di tender da un posto turistico, dove sgranchirci le gambe e magari fare un po’ di spesa in previsione dei giorni in secco.
La sorta di avanporto, che dalle foto e descrizioni sembrava più grande di quanto invece constatiamo ora, viene chiaramente bocciato a favore della rada a neanche un quarto di miglio più a Est, molto più larga e accogliente: Anse du Verdon.
Non crediamo ai nostri occhi, il posto per una volta è più bello e praticabile dell’immaginato; sabbia bianca sul fondo, visibile anche alla luce del tramonto; poche barche alla ruota a fornirci un valido riferimento; scogliere a Est rosso fuoco grazie al sole fiammeggiante; in fondo la baia una pineta deliziosa e più dentro ancora una torre di controllo non invadente, anzi molto marin-style. Motore al minimo, folle, giù la Bugel, atterrati. Aaaah, finalmente!
Inutile negarlo, la consapevolezza di avere Port Napoleon a sole 9 miglia più a Ovest ci fa sentire arrivati, rilassati e protetti; nonostante l’iniziale disapprovazione di Başak ora vedo contenta anche lei, si trattava solo di stringere i denti ancora un po’ e accettare il fatto che “la fine” in fondo non è legata a un posto specifico.
Si balla discretamente a dire il vero, ma oramai siamo di bocca buona e la certezza di un buon fondale supera ogni disagio. Cena, brindisi per l’opera compiuta e buonanotte.
Il mattino decidiamo di inaugurare con un bel tuffo la giornata; prendiamo fiducia dai vari bagnanti lì in spiaggia e facciamo finta di non vedere i 17° (si avete letto bene) segnati dal termometro. Il solito stoico un, due e tre e via, a prendere la necessaria e conturbante doccia.
Per la prima volta in vita mia provo la sensazione del “gelato ghiacciato”; avete presente quando mangi il gelato troppo velocemente e ti si infila un coltello nelle tempie? Ecco uguale. Dovendo provvedere allo shampoo e contando sui miei pochi capelli a protezione, non riesco a stare sott’acqua più di 5 secondi: incredibile!
Başak in pratica ripete il numero di “levitazione” messo a punto a Les Porquerroles.
Non si può fare, così davvero non si può fare. Soprattutto “come diavolo fanno i francesi laggiù a praticare addirittura acquagym!”. Non si può fare.
La prendiamo comunque sul ridere, saremo costretti qui solo pochi giorni prima di spostarci alla baia Sud vicina Port Napoleon, la sera prima dell’alaggio.
Sbarchiamo per una veloce visita al porticciolo di Le Carro, pensandolo più caratteristico data la presenza di molti pescherecci; l’autenticità è francamente poco percepita proprio per la mancanza di presenza umana; la sensazione è che oltre il porto tecnico, poi ognuno torni nelle proprie abitazioni non per forza in prossimità. Altra nota interessante se così vogliamo dire, è il fatto che da 1 miglio dalla costa, il panorama è quello che può regalare il più grande insediamento industriale della Francia mediterranea: ciminiere a perdita d’occhio, gasdotti, depositi di combustibile e viavai di navi cisterna, petroliere eccetera. Atterrando però, come per magia, il desolante grigiore sparisce, ben nascosto da una bella vegetazione e insediamenti urbani tipici dei luoghi vacanzieri. Ed è qui infatti la nostra sorpresa più grande, quella legata alle scelte edili anche graziose e al valore di mercato che grazie a una sbirciata sugli annunci di un’agenzia al porto, sentenziavano 5 mila euro al metro quadro… Ora, con tutto il rispetto per l’oasi creata, se alle spalle hai “le porte dell’inferno”, con quale coraggio i francesi spendano tali cifre, resterà una domanda senza risposta.
Durante i giorni di sosta programmata, il forte NW si manifesta con raffiche interessanti, ma per fortuna meno del previsto; rimaniamo spesso soli, il che ci fa stare più tranquilli in caso di emergenza; la risacca poi viene a spiegarci il perché il nostro non fosse il miglior posto ambito per stare alla fonda.
D’altronde non abbiamo alternative, rade migliori qui non ve ne sono e contando le ore, gestiamo la sofferenza psicofisica dicendoci “dai è quasi finita”.
Passa tutto e pure questa parentesi; verso la tarda mattinata del 8 settembre salpiamo alla volta della rada di Plage Napoleon, dove trascorreremo la notte.
Le carte e i portolani avvisano del repentino abbassamento di fondale, tanto che i percorsi verso le entrate per i marina e Port-Saint-Louis-du-Rhône, sono ben segnalati e delimitati da molte mede: sembra di essere su una pista di atterraggio. Dobbiamo anche stare attenti alla gestione del traffico marittimo a cui dare la precedenza. Alla fine tutto fila liscio e daremo fondo tra alcune altre barche, anche loro in questo affascinante cul de sac del Mediterraneo, meta scelta da molti diportisti e liveaboard.
La baia è struggente, spalle alle raffinerie, si apre davanti ai nostri occhi tutt’altro paesaggio, dove oltre c’è solo il mare, sconfinato.
FINALE
Dei gabbiani stridono e volteggiano nell’aria; 4 delfini sono venuti a trovarci in rada; il tramonto è mozzafiato, non il solito rosso, bensì un lillà che rende ancor più unico il momento. Un’ultima passeggiata a remi con Yakamozzino prima di tirarlo su, affinché riposi sul ponte materno di Yakamoz.
Nel frattempo la radio emette note jazz, delicate, soffuse.
È un finale pieno di simboli, positivi, ben auguranti; se avessimo dovuto immaginarlo, non avremmo potuto pretendere di più di quanto il destino stesso ci abbia riservato.
Il sole sprofonda nel mare.
Domani si ala e tutto, magicamente, finisce… per ricominciare.
RINGRAZIAMENTI
Non posso che ringraziare Yakamoz, barca incredibile, affidabile, solida, il sogno per noi realizzato e che farà parte dei nostri ricordi per sempre, come una figlia; molti ci chiedono perché allora la vendiamo, ma la risposta sta nella vita stessa: nuovi progetti sempre legati al mare che a volte non coincidono con determinate caratteristiche tecniche e dimensionali del guscio; forse anche la voglia di cambiare in questa continua ricerca di stimoli che rende l’essere umano vivo.
Başak: potrei andare con lei dappertutto, la compagna di vita e di avventure che non avrei saputo come descrivere nei miei più prolifici esercizi di immaginazione. Grazie di esistere e di continuare a sopportarmi; speriamo di divertirci ancora, ancora e ancora a lungo insieme.
Voi tutti, che ci avete accompagnati in questi lunghi e intensi 12 anni; chi salito a bordo di Yakamoz, chi solo con il cuore e le emozioni; se continueremo sarà anche grazie a voi.
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Ciao ragazzi, sono quello di Reggio Calabria… Vi ho letto sempre. Ho il vostro libro. Avverto un po’ di tristezza. Noi speriamo di fare i soliti 4 mesi estivi nello jonio greco a sud di Itaca. Già ci mancate. Speriamo di aver presto vostre notizie” dal mare “. Questo magnifico mediterraneo, che, nonostante i problemi e la plastica ci da sempre nuova linfa. Buon vento. Marta e Massimo
Ciao Massimo, si mi ricordo di te. No, non capire male, la tristezza c’è come fingere il contrario; separarsi da una figlia a chi farebbe piacere!
Ma come concluso, è solo per ricominciare, speriamo presto e, più importante, in un clima di serenità nel mondo.
Buon vento e speriamo di incrociarci presto.
leggervi è un piacere.
Non ci sono parole per descirvere le emozioni che riaccendete in chi
sa cosa vuol dire navigare a vela….
Complimenti….
Grazie Fabrizio, sapere di arrivare alle persone nella maniera più spontanea possibile vuol dire tanti
Buon vento a te e speriamo di continuare a emozionare 😉
Siete sempre Fantastici!!!… è un piacere seguirvi!!!…ciaooo Giorgio…