Una barca eco sostenibile è il sogno di molti; mio e di Başak di certo.
Nei progetti futuri difatti non nascondo che l’idea di orientarci verso la massima sostenibilità non ci dispiacerebbe affatto, anche perché in linea con il nostro modo di pensare, esistere, mangiare.

Qualche anno fa, con la mente già in fermento, ho provato a saggiare il terreno, rivolgendomi ai vari produttori del settore; e con mia triste sorpresa ho compreso che ad oggi, quella della barca eco sostenibile al 100%, è una sfida complessa da vincere.

Prima di arrivare alle conclusioni provo a spiegarvi con i fatti cosa si può o non si può fare attraverso esperienze concrete di chi ci ha provato.

Il primo esempio è del mitico Jimmy Cornell, l’inventore della ARC e migliore sponsor degli Ovni.

Ebbene insieme al famoso produttore di catamarani Outremer, hanno provato a lanciare il progetto “Elcano Challenge”, che prevedeva la circumnavigazione senza fonti fossili: fondamentalmente la ricarica delle batterie era affidata alla trasformazione durante la stessa navigazione tramite il sistema Oceanvolt; durante la navigazione le eliche dei due saildrive girano e producono energia.
Le prime prove andarono bene, e a una velocità di 8 nodi in acque calme, la produzione si aggirava intorno agli 800Wh.
Poi però dalle prove si passa alla pratica e partendo dal Mediterraneo, La Grande Motte, durante le 1000 miglia verso Siviglia, si trovano costretti a riscontrare come la produzione non riuscisse più a garantire la potenza dei test e che le utenze di bordo consumassero troppo: la differenza tra il primo test e il secondo era riassumibile nelle condizioni del mare; il primo in acque chete, il secondo con il classico moto ondoso.
A quel punto parte un terzo test, limitando esigenze e comfort e accendendo ad esempio il frigo solo quando necessario e via dicendo. Altra delusione.
Jimmy Cornell insiste e navigando quasi da asceta, nutrendosi sostanzialmente di pasti freddi, evitando di cuocerli per non utilizzare il piano cottura a induzione, a fatica atterrano alle isole Canarie: esperienza fallita!
Si perché pur provando a vivere di stenti, la produzione energetica non garantiva neanche il ripristino del 50% della carica di tutto il pacco batterie, ovviamente capiente per le iniziali esigenze di bordo.
Qui trovate tutte le informazioni:

https://www.noonsite.com/news/electric-shock-jimmy-cornell-abandons-fully-electric-powered-circumnavigation/

 

Considerazioni


Questa di Outremer non credo volesse essere una vera e propria prova di barca ecocompatibile, in quanto è evidente come fossero assenti le principali fonti energetiche rinnovabili, quali i pannelli fotovoltaici e l’eolico (avevano a bordo credo solo 1200w di fotovoltaici); attendersi solo dalla rotazione degli assi produzione sufficiente a riempire molti Ampere, era francamente parecchio pretenzioso e assurdamente poco professionale. D’accordo sono prove e si fanno per questo, ma da Outremer mi sarei atteso un’attenzione e una serietà differenti; oltretutto considerando il ritorno di immagine non proprio entusiasmante. Lo stesso dicasi per Jimmy Cornell, il quale ha prestato la sua immagine e fama, a favore di un progetto perso in partenza.

“Ma con una barca più piccola forse…”. Istintivamente viene da pensare a questo, dato il mini appartamento, comfort compresi, che rappresenta il catamarano di 45’ della prova. Ma in realtà è proprio grazie al mix di peso e velocità che le eliche hanno potuto generare una certa potenza senza ripercuotersi pesantemente sulle medie.
Immaginate se un congegno del genere si applicasse a un cabinato di 9 metri…
Dal mio punto di vista manca anche un’altra cosa: dovendo scommettere solo sul trascinamento e dunque la rotazione stile dinamo, si sarebbe potuto approfittare per implementare il tutto con il sistema a magneti permanenti, o comunque sfruttare la logica elettromagnetica tanto in voga negli ultimi anni.

 

Veniamo all’olandese Peter Hoefnagels e al suo piccolo “Ya”.

Lui ha senz’altro vinto la prova della sostenibilità: ha circumnavigato il globo tra il 206 e il 2018; ed ora è di nuovo in marcia per un secondo tour!
In pratica ha adibito il piccolo e confortevole cabinato con ogni fonte di energia rinnovabile disponibile; unito all’utilizzo furbo e opportuno delle singole autonomie energetiche di ogni utenza laddove fosse possibile.
Ha tappezzato la barca di pannelli fotovoltaici: dai classici monocristallini rigidi, a quelli flessibili e calpestabili; pannelli anche sugli oblò e vetrature fisse a murata (ma che hanno reso pochissimo: quindi li scarterei); eolico; e poi come aniticpato il forno solare, per evitare l’induzione il più possibile; la cottura passiva grazie a un involucro appositamente ottimizzato e realizzato per tale utilizzo.
Anche lui tramite un pulsante trasforma l’elica in produttore di corrente, da appena 4,5 nodi di velocità!
Tutta l’energia di bordo è a 48 volt, in quanto più efficiente e facile da installare.
Le batterie, per 1.200 kg di peso totale, sono state collocate a centro barca in sentina come parziale contributo al peso di zavorra.
Il bollitore dell’acqua è a doppia parete, ottimizzando la dispersione del calore fino all’80%.
Cottura passiva all’interno di un contenitore appositamente isolato che ne migliora l’efficienza.
Macchina per il pane.
Frigo coibentato con schiuma PIR (10-15 cm di spessore) e piccolo motore esterno; il tutto per prestazioni eccellenti e efficientissime in termini di consumo.
La coibentazione generale poi è un capolavoro, lasciamo le parole a Peter: “la schiuma PIR funziona due volte meglio della normale lana di roccia o lana di vetro o schiuma PUR. La schiuma PIR spessa 11 cm viene utilizzata anche per isolare lo scafo dello Ya. Il sole (o la luce del giorno) filtra attraverso le finestre e l’isolamento trattiene il calore all’interno. Questo articolo è stato scritto mentre eravamo all’ancora sul fiume Guadiana in Portogallo, con temperature di 5-10 gradi Celsius durante la notte. Tutti gli yacht hanno un fornello acceso e anche se ne abbiamo uno a bordo, non ne abbiamo ancora bisogno”.
Peter ha concluso il giro del mondo, prestando le dovute attenzioni e principalmente… andando a vela.
Si perché il motore elettrico è stato utilizzato solo nella sua veste ufficiale, come da libretto insomma: ausiliario. Utilizzandolo nelle manovre insomma, grazie alla velocità media di 2,5 nodi per non pesare troppo sulle batterie: se avessero voluto spingerlo a 7 nodi lo avrebbero potuto fare solo per 4 ore; a 2 nodi invece autonomia fino a 48h.
Rimando al link seguente per tutti i dettagli concernenti la barca, la sua ottimizzazione per non sprecare energia (vera chiave di volta della strategia) e le considerazioni tecniche davvero molto interessanti.
Sta di fatto che questo è un esperimento ben riuscito e che invoglia a provarci, o almeno ad adottare alcuni dei trucchi proposti, indipendentemente dal volere emulare il record.

https://www.noonsite.com/report/ya-the-yacht-that-sailed-the-world-fossil-fuel-free/

 

Considerazioni


La dimensione della barca secondo me conta parecchio, in quanto con pesi ridotti anche lo stesso motore, ovviamente è proporzionato; le batterie e le esigenze energetiche in generale sono ridotte (pensiamo al salpa ancora) e di conseguenza la ricarica è più veloce e efficace.

 

CONSIDERAZIONI FINALI


E ora veniamo alle vere Considerazioni sulla vera barca a energie rinnovabili no limits.

Intanto diciamo da subito che tutti questi esperimenti avvengono solo “nel processo a valle”… mi spiego meglio.
Il cat era nuovo, dunque prodotto inquinando l’ambiente (spreco inutile visto il mercato dell’usato: da fervente descrescista credo solo nell’usato a oltranza); le batterie, il motore stesso, e ogni marchingegno dal rigging all’ultimo cavo elettrico sono stati prodotti ex novo, dunque inquinando ancora una volta, peggio, forse, in alcuni casi anche poco eticamente (vedasi le condizioni umane dei vari posti di estrazione di alcuni materiali).
Neanche mi soffermo sulla riciclabilità o eventuali problemi di smaltimento delle batterie e via dicendo. Basta limitarsi a come è stata prodotta la barca e le cosiddette “fonti rinnovabili”; ecco cosa intendo per giochi basati sulla “valle del circo”.
Questi esercizi dimostrativi sono sì utili, ma più che altro a diffondere il concetto di autonomia energetica. Come dire che una volta risolta la difficile equazione di tutta la produzione ecosostenibile o almeno in gran parte, il concetto di affrancamento dalle fonti fossili è possibile.
Nel mio libro “Si può fare”, affermo che essere velista, o meglio un liveaboard abbastanza attrezzato per l’autonomia energetica, è certamente un passo avanti verso l’etica, ma di certo “lontani dalla santità”.
Ad oggi è così.

E ora veniamo ai limiti delle fonti rinnovabili

Fermo restando che l’esperimento più vicino alla mia idea eco è ovviamente quello dell’olandese, purtroppo saltano all’occhio alcuni limiti importanti: la latitudine e il freddo.
Difatti ogni record tentato in tal senso si svolge essenzialmente sempre nei margini tropicali; o comunque laddove l’incidenza del freddo è relativa e compensabile con un buon maglione tecnico.
Per cui possiamo isolare al massimo l’imbarcazione per difenderci dal caldo e dalle basse temperature, ma a meno di voler abbracciare lo spirito degli antichi esploratori, con una tonnellata di disagi difficilmente sopportabili da molti di noi, ci troviamo con un problema al momento insormontabile: il riscaldamento!
Elettricamente è impensabile: troppi watt e poche risorse energetiche rinnovabili; il sole è basso e per poche ore al giorno; il vento potrebbe essere una costante (potrebbe e dovrebbe) ma il condizionale dell’eolico non aiuta minimamente.
Gas, petrolio e legna non sono fonti rinnovabili: giusto la legna in un certo senso lo è, ma poco pratica e pericolosa.
In climi rigidi come il mare del Nord o la Terra del Fuoco, per non parlare dell’Artico bisogna esser certi al 100% dell’efficacia e affidabilità del riscaldamento, ne va semplicemente della vita!
Poi dovremmo conoscere le prestazioni dei motori elettrici e delle batterie in climi rigidi: stesso discorso di sicurezza appena menzionato; avere certezza della risposta del motore potrebbe essere molto, ma molto importante in termini di sicurezza.
Non ultimo, anzi di pari passo, la possibilità di ricaricare efficacemente le batterie.
Dunque ci troviamo in un’empasse davvero notevole che limita i sogni d’avventura del futuro navigatore ecosostenibile.

Che fare?

Oltre ad attendere idee geniali nel futuro prossimo, idee che probabilmente risolveranno non solo le esigenze del diportista virtuoso, ma ben altri problemi geo-sociopolitici, non resterebbe che adeguarsi nel miglior modo possibile, mantenendo 2 sistemi ridondanti: uno a fonti rinnovabili e un altro classico.
Finché si può essere totalmente autonomi, special modo se navighiamo in aree costantemente assolate, è bene impegnarsi a soddisfare la propria coscienza; quando tutto dovesse complicarsi, ci tapperemmo il naso e metteremmo mano al gasolio o altra fonte fossile.

Ma un motore elettrico e un motore termico potrebbero sul serio convivere? E i pesi? E i costi?

…E ci ritroviamo un’altra volta davanti il dilemma: effettivamente è poco credibile immaginare di avere un linea d’asse collegato allo Yanmar e accanto da qualche parte il motore elettrico: si potrebbe studiare tutto il necessario meccanico per collegare e scollegare l’azione da uno a l’altro, però sui pesi non esiste alcuna soluzione percorribile.
Difatti tra serbatoi gasolio, acqua e pacco batterie dedicate al motore elettrico, oltre il resto normalmente presente per i servizi di bordo, le tonnellate si sprecherebbero.
Allora meglio una barca grande… Se non fosse che come detto all’inizio delle considerazioni, più si sale di dimensione più energia e pesi aumentano a dismisura.
Resto sempre dell’opinione che una barca medio-piccola potrebbe avvicinarsi più facilmente al challenge: il motore elettrico potrebbe essere esterno, o al contrario interno e all’esterno applicare su una slitta stile Tross, il classico fuoribordo termico. A quel punto il peso risparmiato dal tipico motore entrobordo, potrebbe compensare in parte l’eccesso di chili in accumulatori specifici.

Insomma, volendo evitare di parlare di barche-prototipo, magari basate su performance, leggerezza e competenze anche atletiche, e rimanendo sul “pianeta Terra” dei comuni mortali, il liveaboard potrebbe senza ombra di dubbio ottimizzare il proprio guscio-casa con molte delle idee fin qui esposte; puntando alla massima sostenibilità, rispettando limiti personali, inevitabili compromessi e una visione della vita elastica e soprattutto obiettiva.
Perché la verità è che la barca eco sostenibile al 100% e autonoma in tutto e per tutto, è un sogno da realizzare, ma al momento ancora troppo lontano.

Fatemi sapere cosa ne pensate e integrate l’articolo con idee o esperienze personali

 

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