Qui puoi trovare l’episodio precedente del viaggio “Dalla Turchia alla Francia”


Lasciamo Porto Kayio all’albeggiare date le molte miglia che ci separano da Methoni.
La navigazione è tra quelle definibili idilliache: il vento giusto, l’assenza di mare, curiosità per nuove coste. Si, perché nonostante sia la terza volta che incrociamo queste acque ci sembra come se fosse la prima! Non è una concessione poetica, proprio non ne abbiamo memoria; probabilmente navigammo di notte, forse più esterni, non saprei cosa pensare, sta di fatto che accorgerci dei tanti isolotti costellanti la rotta verso Methoni, i fondali cristallini, la costa accattivante, si traduce in una felice sorpresa e un’altra fascina da mettere nel fienile delle promesse future. Ho sempre sostenuto che il Mediterraneo sia un mare che a volerlo girare come si deve non basterebbe una vita; oggi ho capito che 2 vite non sarebbero sufficienti. (Sorrido al pensiero di chi afferma di aver fatto il giro del mondo… no, in realtà è effettivamente corretto: hai “girato”, non “visitato”, non “conosciuto”, semplicemente impossibile).

Ad una precisa latitudine e longitudine manteniamo la promessa fatta al caro amico Manuel: qualche parola commossa, un brindisi dovuto alla sua Lucretia, che come per magia ci regala una brezza inaspettata, sufficiente a farci procedere gagliardamente fino alla torre ottomana e le mura veneziane. Atterrati a Methoni.

L’approdo rappresenta una sorta di Las Palmas del Mediterraneo, in quanto chiunque voglia attraversare lo Ionio nella tratta più lunga, non può che salpare da qui. È un crocevia e allo stesso tempo il caravanserraglio dei navigatori; molte bandiere diverse difatti si cullano davanti cotanta storia, che parla di battaglie e prosperità.
Il mattino seguente sbarchiamo per rimpinguare un po’ di cambusa e prendere una tanica di gasolio, consapevoli che d’ora in poi sarà complicato per noi provvedere prima dell’Isola d’Elba.
Inoltre abbiamo bisogno di sgranchirci le gambe e assaporare un’ultimo respiro di Grecia.
La sera prima ci ha chiamati Alessandro, insieme al fratello stanno trasferendo anche loro la mitica e sempre affascinante Santander, di cui feci un simpatico reportage tempo addietro. Come promesso hanno dato fondo in nottata e ora che sono le 9 del mattino ci chiamano dal pozzetto per l’appuntamento concordato: caffè, abbracci e programmi.
Forse loro partiranno da Zante, noi ancora non abbiamo deciso ma non ci convince perdere altri giorni per salire, anche se poi il bordo potrebbe pagare. Nel frattempo devono provvedere a metter mano a una “falla”! La pompa di sentina in pratica parte ogni minuto svuotando diversi litri alla volta.
La via d’acqua spaventerebbe chiunque ma l’atteggiamento rilassato dei fratelli conferma quanto conoscano bene quella che non è più solo una barca, ma una ‘persona di famiglia’, dato che è con loro da 60 anni, quindi prima che nascessero. Il programma poi è di portare Santander in Toscana dove molti anni addietro mani esperte se ne sono prese cura: è giunto il momento di un restyling adeguato, nonostante le competenti mani di Alessandro, noi testimoni della sua dedizione filiale. Per il momento “attapperanno” dall’esterno in qualche modo, anche se gli manca la materia prima per un corretto calafataggio. Poco male, a bordo ho diversa stoppa e gliela porto senza colpo ferire, meglio di niente.
Rimaniamo d’accordo nel tenerci in contatto così da pianificare il più possibile una navigazione di conserva, pur se distanti decine di miglia: va bene essere serafici, ma acqua a fiotti che entra in sentina non è mai una bella sensazione!
A terra.
Quanto tempo, quanti anni ci separano dalla prima gioia provata per essere in questa cornice particolare; troppe emozioni legate a promesse e inizi di una nuova vita; è un cancello simbolico, porta d’ingresso del nostro nuovo mondo, pertanto non ci sorprendiamo nel sentirci un po’ provati.
Una scrollata di spalle, come i cani che usciti dall’acqua si sgrullano la pellaccia, ci dirigiamo al piccolo ma fornito market; e poi il caffè tanto sognato, sotto gli alberi di un tipico locale greco, in compagnia di pochi turisti. Purtroppo il proprietario ci racconta che la stagione è stata pessima per via del covid e ora ancora peggio, data l’ultima “impagabile” iniziativa della regione Puglia, cioè quella di punto in bianco di assoggettare i turisti di ritorndo dalla terra ellenica al famigerato, quanto inutile, tampone. In sintesi come distruggere il turismo e rendere impossibile la vita alle persone già stremate dopo mesi di lockdown.
Dispiace scorgere negli occhi dei locali rassegnazione e preoccupazione per il futuro, i sorrisi e quel senso di libertà tipici di questi lidi sono scomparsi. Tutto sta cambiando velocemente in giro per il mondo, ma spero si torni presto alla naturale connotazione di umanità, e certamente che chi deve pagare paghi salatamente per quanto sta accadendo.
Nonostante la non perfetta atmosfera riusciamo a ritagliarci qualche emozione positiva, in fondo il nostro mondo è cosa a parte ed è stato costruito “non in soli 7 giorni”, e a volte funziona un po’ come un ‘crash box’, una ‘paratia stagna’ che permette alla barca di rimanere a galla.

Yakamoz ci guarda lì tra le sue simili e capiamo sia giunto il momento di tornare a bordo.

 

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Salutiamo l’equipaggio del Santander e mettiamo prua per Navarino, altra meta mai raggiunta prima, da dove contiamo di salpare per il grande salto.
Rimandando ad altra occasione la descrizione dell’approdo, tranne accennare all’impressionante presenza di zanzare, il giorno successivo con molta calma leviamo l’àncora alle prime brezze e iniziamo a farci trasportare verso le oltre 300 miglia che ci separano dallo Stretto di Messina.
Ora la faccenda cambia aspetto.
Non più costa a farci sentire al sicuro, ma mare, mare, mare. Salutiamo i parenti e gli amici via telefono consapevoli che fra poco e per circa 2 giorni non potremo più fornire notizie. Armiamo le jackline a cui affidare le nostre cinture di sicurezza quando dovremo muoverci sul ponte. Stiviamo sotto coperta ogni oggetto inutile. Buon vento, dita incrociate e tanta fiducia in noi stessi e Yakamoz.
Le intenzioni iniziali di rimanere in contatto con Alessandro svaniscono immeditamente: loro sono saliti a Zante come da programma e il VHF non ha portata adeguata per garantire un minimo contatto tra le due barche: ne eravamo tutti consapevoli ma si sperava in qualche scherzo positivo dell’etere.
Anche il meteo non potrà più essere consultabile, tranne i bollettini prodotti via radio, poiché ovviamente internet seguirà tra non molto il destino delle comunicazioni telefoniche; per cui facciamo un ultimo punto della situazione, entriamo in tutti i siti meteo e modelli che riteniamo attendibili e verifichiamo se la strategia messa a punto giorni prima trovi una qualche conferma.
Il Santander è salito più a Nord per via di un NW previsto e che avrebbe penalizzato noi qui giù. Ma detto questo ognuno deve impostare la tattica tenendo conto di vari fattori (fortuna compresa), tra cui le caratteristiche della propria barca. Yakamoz si muove bene, anzi molto bene, con venti che vanno dalla bolina alla bolina larga (parlo di venti leggeri come quelli previsti); meno oltre il traverso che la vedrebbe procedere troppo lentamente. Dato poi che alcuni modelli parlavano di N o addirittura NE piuttosto che NW, ecco che partire da una latitudine più alta avrebbe potuto penalizzarci.
Senza troppi giri di parole anche stavolta ci abbiamo visto bene e il vento comincia a darci buono.
Impostiamo il pilota automatico e cerchiamo di farlo portare il più possibile così da risparmiare le nostre energie, d’ora in poi necessariamente da centellinare.
Il vento viene da N, a volte N-NW, altre NE e la rotta è a W-NW; saremo sui 14 nodi di reale, ovvero circa 17/18 di apparente, voliamo a oltre 7 nodi, quasi 8 e Ovidio si comporta come il miglior timoniere; è una navigazione entusiasmante, adrenalinica, perfetta anche per via dell’assenza di mare, di più sul serio non si può desiderare.
La prima giornata passa in fretta, come ogni nuovo inizio; se il buongiorno si vede dal mattino direi che siamo a posto. Ci coccoliamo come possiamo e durante l’ora del tè vengono a farci visita un branco di delfini, per la gioia di Başak (e mia). C’è una vecchia pubblicità di un noto amaro che recita “cosa vuoi di più dalla vita?”, prosegue con la risposta del prodotto, mentre nel nostro caso emerge un gigantesco “NULLA!”.
Dopo cena decidiamo i turni, in passato di 2 ore, ora preferiamo non spingerci oltre l’ora; spesso riposiamo in pozzetto mentre l’altro attende alla guardia, il che è anche un modo per non far sentire solo chi resta di veglia, alla fine si tratta di stringere i denti un paio di giorni, poi, dopo il giro di boa, tutto diventa più semplice.

Le ore passano, i giorni pure; il vento viene, va, il motore lavora ogni tanto e le onde aumentano nella tratta scoperta dal molto teorico ridosso di Puglia e Grecia, distantissime; ma lo Stretto è ormai a vista e dopo 2 giorni e mezzo ci presentiamo all’alba senza un vento a favore, tutt’altro.
Internet, ora nuovamente presente, ci conferma il NW, intenso a tratti a seconda dell’orario: quindi sarà una roulette russa. Difatti riduciamo per tempo tela ben conoscendo la bestia, che ci accoglie nel canale abbaiando con 30 nodi! Proviamo a bordeggiare ma è impossibile. L’apparente si trasforma a ogni virata totalmente a sfavore, praticamente facendoci indietreggiare: non resta che accendere il motore e gestire con la sola randa terzarolata questa agonia. Ovidio per fortuna per un po’ ci salva, ma poi le onde, brutte, ripide, e il vento che sembra ancor più teso, iniziano a far sbattere Yakamoz, torcendoci le budella ad ogni “spanciata”.
Troviamo dunque un buon assetto, diminuiamo qualche giro motore e timoniamo gestendo le onde; procediamo così a quasi 6 nodi nella giusta direzione. Passano ore, forse almeno 7 prima di scorgere l’imboccatura Nord dello Stretto e cominciamo a guardare l’orologio: fra 1 ora la corrente si farà vedere e a quel punto saranno dolori. Il GPS ci dice che dovremmo farcela per il rotto della cuffia. Ci siamo quasi, la costa si allarga, il tipico pilone di Torre Faro conferma che di là il Tirreno è pronto ad accoglierci; ma siamo già 15 minuti oltre l’appuntamento e difatti strani movimenti disegnano atipiche figure sul mare verso NW. Aumentiamo i giri del motore e dirigiamo a NE, dove Scilla compare in tutto il suo splendore. L’occhio va dall’orologio al GPS per verificare se la velocità rimane costante o diminuisce. Sembra fatta, quando la corrente si allarga sempre più lambendo la chiglia di Yakamoz. Tanto basta che da 6,5 nodi passiamo a 5: ahia!
Ci allarghiamo ancora, a questo punto non ha importanza la direzione quanto liberarci da una morsa che potrebbe fermarci praticamente del tutto, devastando il nostro stato d’animo e energie oramai al limite. Per fortuna riusciamo nell’intento e Scilla ci sembra ancora più bella.

Vorrei poter raccontare di un epilogo felice, pieno di relax e gioia, ma non sarei sincero, in quanto il Tirreno si presenta in tutto il suo squallore, dal punto di vista meteo intendo: bonaccia piena.
E così, dopo assurdi tentativi di veleggiare con 2 nodi di vento (non chiedetemi dove trovassi la forza: Başak aveva già dato forfait, pronta a smotorare ancora), ci arrendiamo e affidiamo la navigazione a Ovidio e al fedele Yanmar, per 12 lunghissime ore direzione Panarea, dove daremo fondo al tramonto presso lo scoglio del Sorcio. E qui è un’altra storia.

 

 

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