Il tempo passa e Rebound presenta il conto; con sobrietà e partecipazione, devo dirlo, ma pur sempre salato.
Durante i suoi quasi 12 anni di “abbandono” (relativamente all’armatore ovviamente: comunque era sotto gli occhi del suo custode Pierluigi e altri soci dello YKC lì vicino), Rebound ha vissuto da sola le molte mareggiate verificatesi nel porto di Crotone; senza ombra di dubbio una di queste ha messo a dura prova la tenuta dell’ormeggio che, per l’appunto priva di un occhio direttamente interessato, ha visto la povera barca rompere una galloccia ben dimensionata (ma non saldata… provvederemo a questa e altre strane storture del progetto) e certamente urtare contro la banchina, o meglio qualche masso/scoglio subito in prossimità della stessa.
Il risultato è stato il seguente:
– 1 galloccia divelta
– 1 piccola galloccia divelta
– 1 bocca di rancio andata
– 1 bocca di rancio semi andata
– 1 piccola zona della falchetta storta
– pulpito di poppa storto
– 4 candelieri a centro barca storti
– 1 piccola abbozzatura sullo specchio di poppa
– 1 piccola zona di teak completamente “segata” fino a alluminio (dalla cima in tensione che avrà fatto appunto da sega)
pala del timone storta

Fin qui, visti i lavori di restauro profondi che stiamo affrontando, nulla di particolarmente preoccupante: tutto sommato le gallocce, imbullonate (grrrr…), sono destinate a essere saldate o sostituite con modelli fatti ad hoc e sempre saldate; le bocche di rancio non mi interessano (o comunque faremo saldare qualcosa con la stessa finalità); così come la falchetta che, imbullonata anch’essa allo scafo con centinaia di viti (FATEMI GRIDAREEEE! VAN DE STADT MA COSA DIAVOLO TI È PASSATO PER LA TESTA, PER DINDIRINDINA: non sono esattamente queste le parole che pronuncio periodicamente ogni qualvolta guardo tali scempi progettuali) è del tipo classico per barche in VTR, quindi una pressofusione poco resistente – ergo andrà tolta all’istante e mai ripristinata, insieme al teck!
Candelieri e pulpito invece sono già stati smontati e portati dal fabbro (come potete vedere in questo video) per essere tagliati e raddrizzati, sostituendo gli elementi che non possono essere recuperati.
L’abbozzatura è questione da poco e con un po’ di stucco (o ribattitura) ce la caveremo: sì, Rebound verrà completamente sverniciata per goderci la livrea di alluminio che tanto ci piace; ma alcune zone (proprio quelle esteticamente un po’ critiche) riceveranno una spruzzata artistica di vernice, forse qualche occhio di Allah 🧿 a proteggere la seconda vita della bimba.
Il timone invece è tutt’altra storia.
Due sono le preoccupazioni, una è come smontarlo e quanto sarà difficile; e poi verificare i danni; in particolare se oltre alla pala anche l’asse abbia subito rotture, storture; o se la losca si sia “criccata”; le boccole rotte e via dicendo. In parole povere eventuali danni veri, rispetto alle quisquiglie di cui sopra.
Per saperlo dobbiamo affrontare il primo problema: lo smontaggio del timone.

Si comincia con alleggerire la pala. Visto che andrà rifatta completamente, o almeno 2/3 della sua lunghezza interessata, abbiamo deciso di non andare per il sottile: tagliamo!
Certamente avremmo preferito smontarla completamente e inviarla in officina nella sua interezza, ma Rebound è in secco su pavimento di cemento, e procedere classicamente, ovvero scavare una buca nel terreno per far scendere l’amabaradan, non è opzione praticabile, per cui amen.
Frullino e sega rendono agevole il primo step.
Terminata l’operazione chirurgica, a dire il vero un po’ inquietante (non ci è mai capitato di amputare un arto così importante di una barca!), zeppiamo ciò che resta della pala e saliamo a sbloccare quel che la tiene… appesa.
Difatti la successiva difficoltà è disassemblare le due flange d’acciaio, “discretamente” arrugginite, che fanno da fine corsa del timone (e ulteriore “ruota di scorta” anti caduta): le due cravatte sono strozzate all’asse tramite due bulloni in inox (per fortuna) e tenute in linea con una spina di alluminio spessa 12mm, larga 24 e lunga 150mm, incassata in una delle due flange e nell’asse stesso; spina che ha fatto da fusibile negli incidenti, storcendosi (date le sue dimensioni, immaginate con quali pressioni abbia avuto a che fare).
Bene, solite tecniche per svitare viti e bulloni bloccati e la faccenda flangia si risolve.
Poi dobbiamo prendere confidenza con il sistema di fissaggio del timone, o meglio dell’asse nella losca principale e quella superiore che muore in pozzetto con una grossa testa cubica, predisposta ad accogliere la generosa barra d’emergenza.
A prima vista lo smontaggio del timone si sta dimostrando operazione fin troppo semplice e questo ci mette sul chi va là!
Le barche difficilmente si sposano con la parola ‘semplicità’ e ogni qualvolta si pensa di aver risolto con facilità una qualche operazione, ecco che ci si scontra con la classica complicazione: a volte credo che i progettisti e le maestranze godano nel creare trabocchetti e cacce al tesoro.
Ma Rebound, amo ribadirlo, emana energia positiva; effettivamente di storture come anticipato ve ne sono, tuttavia Lei rende le cose più facili di quanto eravamo abituati con il nostro precedente amore; non so perché, ma sul serio il tutto ha una logica operativa e per l’appunto (a tratti) semplice.
Cosa per cui i 2 perni passanti gli anelli-cuscinetto-asse, vengono via che è una bellezza.
Ora non resta che tornare giù e testare l’uscita dell’asse, sperando quest’ultimo non si sia storto: l’emozione ci segue passo passo, perché fin qui la storia è stata fin troppo facile.
Ebbene, alleggeriamo la zeppatura e cominciamo a far leva con un grosso pezzo di legno: sembra venire; dai ancora un po’ e… niente, non ne vuole sapere. Eccolo là l’inghippo, avremo sicuramente dimenticato qualcosa o, peggio, l’asse è storto! D’altronde, con le botte che avrà preso, difficile sia rimasto integro e dritto (sigh).
Proviamo ancora e poi ascoltiamo la vocina dell’esperienza che oramai ci accompagna nelle nostre avventure: “se c’è qualche problema, meglio non forzare; un bel respiro e verificare un’altra volta i vari passaggi e eventuali criticità”.
Così è e sarà. Soprattutto la fortuna è quella di avere accanto una donna come Başak, la quale, meno “battiperno” del sottoscritto, ragiona di più; e infatti scopre delle piccole “ernie” sull’asse, dovute sia alla sede della spinetta, (come detto oggetto di stress e quindi deformazione), che da qualche mia “cacciavitata” fin troppo energica, resasi necessaria per togliere le flange.
Basterà il fidato Dremel, usato con la delicatezza di una principessa, a riportare in piano la situazione.
Epilogo? Scendiamo e come per magia (magia = Başak), Bidibi bodibi bu, il timone vien giù!
Ma l’asse? NON-È-STORTO! Anzi gode di ottima salute sotto ogni punto di vista: la dimensione è effettivamente notevole, spessori pieni generosi e una losca altrettanto potente. Inoltre il sistema di tenuta è una vera opera d’arte: v’è una boccola in derlin (spero non teflon), scanalata a elica continua, dove si depositano importanti quantità di grasso, pompate con apposito ingrassatore, sempre collegato alla scatola-losca e il tutto con una funzione di autoallineamento del timone; la tenuta è garantita sì dal parapolvere e la stessa boccola, ma in primo luogo dal fatto che la posizione della losca è al di sopra della linea del galleggiamento.
Gaudio e giubilo, lo smontaggio del timone è avvenuto senza problemi di sorta e, più importante, il danno è quindi limitato alla sola pala: ve l’ho detto, nella sua sventura Rebound ci sta parlando soavemente e noi la ringraziamo dedicandoci a lei nel miglior modo possibile.
Il destino del timone ora è di salire in auto con noi (in 2 pezzi entrerà senza problemi) nel viaggio di ritorno verso Roma, per essere sbarcato poi a Latina, presso l’amico Fabio, saldatore e fabbro esperto in alluminio (il produttore delle barche del mitico Ernesto Tross, tanto per intenderci).

Noi per oggi ci rilassiamo, brindiamo alla vittoria del match e ci prepariamo a tutte le altre partite del campionato.
Godetevi il video, ne vale la pena
Reuse, Reduce, Rebound

 

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