Alberto ci pone una domanda “personale”, legata alla nostra scelta di un monoscafo piuttosto che un catamarano.

Risponde Giampaolo

Buongiorno, mi chiamo Alberto, seguo le vostre avventure da un po’ ed ho letto il libro e c’è una domanda che vorrei porre a voi: perché la barca, cioè ovviamente la barca, non mi sognerei mai di chiedere perché non fate tutto ciò che fate in camper, quindi ovviamente la barca e il mare in assoluto; mi chiedo e vi chiedo, forse principalmente per chiarirmi le idee, perché e come avete scelto una barca piuttosto che il catamarano. Sicuramente sarà una domanda banale; spero di essere riuscito a spiegarmi. Grazie per la vostra attenzione e per dimostrare a noi cercatori di scuse che in fondo scuse non ce ne sono. Alberto

Ciao Alberto e scusa il ritardo nel risponderti, ma tra navigazioni e impegni, il tempo, paradossalmente detto da me, è tiranno, anche troppo.
Nessuna domanda è banale, anzi la tua invece è molto pertinente, special modo per chi si accinge a cambiar vita.

Intanto voglio dirti quello che ripeto da anni e che in qualche misura ho provato a sviscerare nel mio breve scritto “Ribellarsi… Come si può“, il concetto è decrescere, prendere le distanze il più possibile dallo stile errato (a mio giudizio) della società iper consumistica che ben conosciamo. Non ha importanza il mezzo, che può essere una tenda, la stessa casa, o il camper perché no. La barca a vela certamente è forse una delle più belle soluzioni per metterci a contatto con la natura, nell’illusoria percezione di essere eco compatibili: illusoria in quanto come saprai, troppe sono le azioni inquinanti che riguardano un veliero, per ricevere la palma dell’impatto zero, fra tutte la sua produzione. Ci consoliamo con il fatto di non partecipare assiduamente come prima al meccanismo di cui sopra. D’altronde nessuno professa il ritorno alle caverne, ma una presa di coscienza questo si, per mettere in atto cambiamenti, piccoli che siano, che se portati da tutti, forse ci concederebbero ancora una chance dal nostro povero pianeta, oramai come pare arrivato irreversibilmente ‘alla frutta’.

E ora veniamo al tipo di barca che, come in premessa, sarebbe il caso di scovare tra le migliaia di unità presenti nel mercato dell’usato.

Se il tuo programma fosse quello di “galleggiare” lungo le rotte tropicali, o in Mediterraneo con l’obiettivo scientifico di evitare condizioni meteo e marine molto impegnative, allora catamarano tutta la vita. Si andrebbe incontro a spese maggiori come ad esempio il rimessaggio, ma dovendo partire dal presupposto di voler cambiar vita, ciò significherebbe vivere pressoché sempre in rada, all’àncora, quindi riducendo drasticamente le operazioni di alaggio e varo. Costerebbe sempre più rispetto al monoscafo, ma ritengo comunque gestibile la spesa in un quadro generale: basterebbe ad esempio alare ogni 2 anni per riportare il risultato dell’equazione a posto. Ma la comodità di un cat non si può spiegare, è come una villetta sul mare: 6 a 0 contro il monoscafo, che per avvicinarsi a tali comfort, dovremmo parlare di almeno 18 metri di lunghezza, inficiando tra l’altro il vantaggio in termini di rimessaggio.

Se invece, come nostri programmi iniziali (e attuali), i progetti fossero meno scolpiti nella roccia, tra cui anche la possibilità di navigare in latitudini importanti, o semplicemente vivere il mar Mediterraneo (Egeo nel nostro caso) senza sconti, allora ecco che il monoscafo mi darebbe più sicurezza. Certo anche qui bisognerebbe verificare di cosa parliamo, troppi i modelli e i progetti per portare tutte le barche a vela su un unico piano, ed ecco perché ho scritto una guida ad hoc.

E tutto ciò in quanto, come spiegato nel mio libro, non avevamo una capacità reddituale costante e tale da prevedere l’upgrade negli anni, tipico del diportista medio: della serie provi un’esperienza, poi vendi barca (rimettendoci) e compri il cat o viceversa, aggiungendo soldi. Insomma dovevamo puntare a un unico sparo e valido, sperando in una barca pressoché definitiva e poliedrica.

Inoltre, la dimensione di un catamarano che vada a vela e navighi dignitosamente, si attesta intorno ai 43’ minimo, a salire, cioè tanti soldi se consideriamo un modello recente quindi in un certo senso più prestazionale, o peggio se di alluminio.

Ti risparmio le ovvietà tecniche che sono certo tu conoscerai, e che come ogni cosa, variano da una circostanza all’altra: il cat non ha zavorra e quindi stabilità data dai 2 scafi, in caso di falla è forte la possibilità di rimanere a galla; se si ribalta però così resta. Il mono ha zavorra per circa 1/3 del peso totale, in caso di falla va giù a meno di paratie stagne, crashbox ecc.; se si ribalta, facilmente torna nella sua posizione naturale. Attenzione nei cat nel gestire i pesi all’interno, per rispettare i giusti equilibri tra i due scafi. I recenti cat risalgono il vento, ma mai come un mono, e in caso di onde interessanti, special modo in Mediterraneo, quindi alte e strette, il cat soffre. Nelle andature portanti, dal traverso in poi i cat ‘volano’, quindi le percorrenze richiedono minor tempo dei mono, a meno che questi ultimi non siano modelli ‘plananti’ (ma per altri motivi non li prenderei in considerazione); comfort in navigazione nelle condizioni ideali per un cat: l’equipaggio soffre enormemente meno rispetto un mono, special modo in caso di lunghe percorrenze. Ho semplificato un po’ il discorso ma direi che il succo c’è.

E detto questo la mia personale statistica è che chi scende da un monoscafo e sale sul cat, non torna indietro. Esistono eccezioni e lo confermo, ma che non fanno la regola: evidentemente le comodità prendono il sopravvento sulle “mission impossible” che, a volte un po’ ottimisticamente, ci prefiggiamo.

Concludo però dicendoti che noi stiamo vendendo Yakamoz, per far partire un progetto molto ambizioso (Top Secret), e non si tratterà di un catamarano: ma questo siamo noi e non vale per tutti.

Se hai altre domande in merito scrivi pure, buon vento.