Le 7 cose peggiori del vivere in barca: la verità nuda e cruda come non l’avete mai letta

 

“Vivere in una barca a vela è il mio sogno”; “sa, io vivo in una barca a vela…” (segue sorriso di chi la sa lunga, condito con un pizzico di So’ troppo figo); “La barca a vela rende liberi”; “Uno studio dice che la vela, il mare allungano la vita”. Potrei continuare a lungo citando frasi a effetto e luoghi comuni legati al mondo della vela. In particolare all’ambiente dei liveaboard. Spesso osannati, invidiati, visti come un gruppo elitario, di confine, quasi una comune di strani naviganti alla ricerca di non si sa bene cosa.

E intorno a noi quindi si costruisce un alone di mistero, ammirazione, mitizzazione misti a curiosità, quasi come se non fossimo esseri umani normali, ma animali bipedi non meglio identificati.

Scadendo definitivamente nel prosaico, il tutto si incastonerebbe nella celebre frase di Platone tramite la quale definisce i marinai: “Ci sono i vivi, i morti e chi va per mare”.

Bene, ma è tutto rose e fiori sul serio? Neanche per sogno.

Ecco che per rendere giustizia all’obiettività cito le 7 peggiori cose del vivere in barca (ma ce ne sarebbero altre).

1) L’inverno

Sembra scontato d’accordo, ma le cose vanno chiamate per nome e cognome.

A meno voi viviate su barche da 20 metri a salire, magari un catamarano “vista mare”, la vita del povero liveaboard che volesse accingersi a invernare in Mediterraneo, assume toni tutt’altro che romantici. In Med di posti al caldo non ce ne sono. Non il caldo che intendiamo pensando ai tropici o almeno alle Canarie. Si, in zona Marmaris, come in Algarve (Portogallo), è obiettivamente gestibile, ma qui finisce. A Marmaris poi piove a bestia (non potrebbe essere così verde d’altronde), e quando l’umidità diviene protagonista della tua barca, le semplici operazioni quotidiane non sono più tali.

Alzarsi dal letto, divenuto ancor più umido durante la notte, quasi è una liberazione; a patto il quadrato sia già pre riscaldato con qualche mezzo tipo webasto, o stufetta elettrica in caso fossimo ormeggiati in marina o porti attrezzati.

Se piove poi e non ci si è organizzati con un bel tendalone STAGNO ad hoc, in pratica l’effetto prigione è scontato. Nessuno ci impedisce di uscire per carità, non scherziamo. Ma come dire, mentre in un appartamento si trova il modo per gestire la giornata uggiosa, in barca è più complicato e gli spazi sono quel che sono. Ovviamente non mi riferisco a 1 giorno di pioggia, sopportabilissimo, bensì a una settimana, ad esempio. Provare per credere.

2) Doccia

Parlando sempre di inverno, quello che in una tradizionale dimora è una cosa scontata e semplice (basta aprire il miscelatore), ecco che per tetra magia, in un veliero diventa operazione di ‘fantozziana’ narrazione. Intanto come già detto il riscaldamento non sempre è efficace, tanto meno in bagno. È vero che gli spazi minimi favoriscono il diffondersi del tepore ma insomma… Acqua calda. Se si è in marina collegati alla rete elettrica e il boiler funziona, bene, altrimenti via di motore. Se hai la fortuna di avere i capelli poi vale lo stesso discorso: rete elettrica bene, senza, usare un phon non è facile quanto l’acqua calda. In ogni caso si è generato un vapore da locomotiva e di conseguenza un’umidità stile hamam; solo che mentre sarebbe facile aprire la finestra per areare l’ambiente, in barca in caso di pioggia ahimè aprire l’oblò comporterebbe lo “strano” fenomeno fisico che hanno le gocce di H2O a entrare in barca. I legni si impregnano, le suppellettili già fatto grazie, e la base doccia, se in legno, non si asciugherà prima della primavera.

3) Odori

Siete in marina? L’acqua di mare ristagna e spesso. Tutti scaricano i propri bisogni (e non dovrebbero, ma la realtà è un’altra, inconfessabile) perché piove, fa freddo e uscire per andare ai bagni in comune (spesso distanti dal proprio posto barca o in condizioni pietose) proprio non va. Dunque “pluff”. Perfetto, se non fosse che poi la latrina inizia a dare i suoi frutti, in tutti i sensi.

Siete in porto? Stessa cosa, forse peggio, dato che oltre ai diportisti si sommano i pescatori, gasolio “consolidato” dei vari motoracci, risacca artificiale dovuta al vai e vieni, e conseguenti rimescolamenti che guarda caso lasceranno il “pacchetto completo” stile Gange sempre e costantemente in prossimità della tua barca.

Il nostro guscio stesso emana strani odori. La sentina va pulita e tenuta tale il più spesso possibile. Si ma… oggi non mi va, domani devo finire un altro lavoro, dopodomani esco per andare a fare la spesa e passano i giorni, se non settimane. Il problema è che ci si abitua alla puzza della barca. E te ne accorgi solo se qualcuno te lo fa notare delicatamente, o se ti sei assentato diverse ore, o peggio annusando (sempre all’esterno della barca) un tuo indumento, pur se nuovo di lavanderia, appena tirato fuori dall’armadio-stipetto-gavone-fate voi.

Vivendo in barca, spagliolare non è un’operazione divertente da mettere in atto frequentemente: hai le tue cose in giro, magari la barca è piccola, siete in due, si cucina e via dicendo. Solo chi ci vive può sapere di cosa parli. E poi ci sta anche che gli stessi legni, in particolare quelli del pagliolato, siano vecchi e ben impregnati. Vogliamo parlare del gasolio, il motore e tutto l’ambaradan di attrezzi, attrezzini, liquidi e compagnia bella che normalmente un liveaboard tiene stipati in ogni dove? Tutto ha odore, e mischiare una casa pulita con il garage e l’impianto fognario, non è il connubio migliore. Si perché dimenticavo di parlare del serbatoio acque nere, e non lo approfondisco scientificamente appellandomi al buon senso e all’intuito di chi legge.

Ragazzi, con gli oblò aperti è tutto facile, il ricircolo dell’aria è garantito e le puzze lasciano il posto ai profumi (se ce ne sono); diversamente tra fuori e dentro di certo non si vive in un negozio di essenze.

4) Finisce il gas

So che in pochi la meterebbero tra le cose peggiori del vivere in barca ma ora vedrete.

In un appartamento neanche ci pensi, apri il rubinetto, fai scintillare e SBLAM il fornello è accesso vita natural durante (o fino a quando pagate la bolletta). Probabilmente solo i nostri nonni hanno avuto a che fare con i bomboloni e le disavventure a essi legate. Perché puoi avere le scorte che vuoi, ma se sei fuori mano dal distributore di bombole non è semplice organizzarsi sempre e comunque. Capita difatti che hai calcolato male i consumi e ti ritrovi in mezzo al nulla senza la possibilità di cucinare. “Ma come la fai tragica Giampaolo, ma a chi è mai capitata una cosa del genere!”. Capita, capita. Ma va bene dai, andiamo sulla normale amministrazione. Intanto c’è una regola ferrea, aurea oserei dire, e cioè che il gas finisce sempre e inevitabilmente quando ne hai bisogno. Ovvio, non accendi il fuoco per vedere un film… Sta di fatto che è una sventura per chi deve accingersi a sostituire la bombola. Spesso parliamo di mini bombole da circa 2,5kg, talvolta meno. Cosa per cui dovendole stivare (per ragioni soprattutto di sicurezza) all’esterno, e in qualche gavone non accessibile come altri di cui ci serviamo spesso, ecco che il calvario ha inizio. Nel mio caso devo togliere la pedana a schiena d’asino della timoneria. Poi, se il ricambio è nello stesso gavone (tengo 2 bombole accessibili da 2 sportelli separati ma nella stessa zona), la vittoria è a portata di mano; altrimenti, devo andare a prendere quella in fondo al gavone principale, cioè la famigerata “Fossa delle Marianne”, contenente tutto ciò che potrebbe la borsa di Eta Beta (chi non sa chi sia, andare di Wikipedia please). Ergo, tirare fuori ogni bagattella per accedere alla nostra bombola bastarda, tenere il mercato così in attesa della sostituzione, per rimettere poi al suo posto quella vuota. Lavorare al cambio già di per sé non è una passeggiata, in quanto devo inchinarmi e sedermi in pratica sui settori (mezzelune) del timone, sperando che l’avvitatura della nuova bombola avvenga senza tentennamenti (svitare è facile, ma avvitare no, dato che le filettature l’hanno pensate bene per darti fastidio, e tu devi far girare la bombola con una mano mentre con l’altra tieni fermo l’attacco con il tubo: roba da prestidiridigididigitazione). Una volta finito, rimesso tutto a posto, son passati dai 5 ai 15 minuti a esser buoni. In estate magari te la cavi con una sudata, ma lì finisce. In inverno, se piove e non hai un bel tendalone (ma anche se ce l’hai in quel momento la pioggia è puntualmente orizzontale), minimo hai smoccolato come il peggior pirata dei Caraibi, che almeno lui si se ne stava al caldo.

5) Eppur si muove

Se non si è in secco, cosa che non auguro al peggior nemico, la barca ha un difetto: si muove.

Scontato d’accordo, ma l’unico movimento che piace al marinaio in effetti è quello della navigazione, lo sciabordio sulla chiglia, il vento tra le vele e ogni altro dettaglio molto romantico e spendibile.

Quando si è ormeggiati in un porto-marina, ma anche in rada, puntualmente arriva il bischero con la moto d’acqua, per non parlare del traghetto se in porto (immaginatevi in Grecia), o il motoscafo allegro che se ne sbatte dell’educazione. Direte che dopo un po’ non ci si fa più caso. MAI! È un vero e proprio scassamento di pa…rabordi, a cui non puoi far altro che reagire con santa pazienza e rassegnazione.

6) Rumori

Legati anche al punto 5) l’altra nota dolente sono loro. “L’orecchio del marinaio si abitua”. Si e no. Si abitua a catturare i rumori che possono segnalare un guasto, talvolta la catena che fa crì-sgriscgrat-tàtàtaaaàn eccetera; persino il fischiare del vento tra le sartie. Ma se c’è burrasca, il concerto di archi, fiati e percussioni, uniti a un comprensibile e atavico stato d’animo d’allerta, ci proiettano in un baccano tale da far rimpiangere l’ora d’uscita di una scuola elementare.

Se si è nel porticciolo caratteristico (ripeto magari greco), ecco che il gruppo di ragazzi simpatici, a bordo dei loro altrettanto simpaticissimi scooter del cazzo, modificati dal sig. Abarth in persona, producono a cadenza da Formula 1, uno dietro l’altro, passaggi da 1’27” e 33 decimi, fino a quando il record del giro dell’avamporto non cade inesorabilmente. Ma il giorno dopo tanto qualcun altro accetterà la sfida nuovamente.

In estate i piano bar e discoteche sono lì per far gioire… gli altri, ovvio. Tu che sei in banchina cosa vuoi? Mettiti in pozzetto, sorseggia il tuo Martini, batti le mani, chessò fatti un trenino con il vicino di banchina, che alle 4 del mattino forse vai a nanna tranquillo.

Sui vicini di banchina calerei il classico velo pietoso e la chiudo qui.

7) Ansia da barca

Per ultimo (ma ce ne sarebbero) ecco forse la parte più complicata da gestire. Parliamo della psicologia del liveaboard, quindi complessa a priori. Sei nella tua cuccia, la tua casa, la tua amante e altre metafore a profusione. Hai speso ore, anni, energie a tonnellate per manutenerla, coccolarla. Ti sei identificato in lei. Somatizzi ogni suo malessere: altro che figli o animali, così non ce n’è. E quando ti allontani, per qualche ora, perché non hai potuto evitarlo, forse proprio per metter mano a quell’ennesima riparazione, eccetera eccetera… ebbene, quando il cordone ombelicale si è allungato fino a doverlo staccare, ti ritrovi con mille timori del tipo “e se ora sale a bordo qualcuno? Un ladro?”, “e se ora arriva uno che dà fondo accanto a me e mi fa spedare?”, “e se arriva un altro in banchina, di solito un principiante, uno che non sa come si fa, o peggio, Dio non voglia, un gruppo di charteristi, solitamente tedeschi o russi, per cui stronzi e ciucchi per definizione?”, “e se sale a bordo un topo? Uno scarafaggio? Un… qualunque cosa essa sia?”, “e se la fascetta cede e imbarco acqua?” Non fate i gradassi, per poche ore non sempre chiudiamo tutte le prese a mare – vedi motore -. Insistete? Bene, allora “e se il passascafo si spacca all’improvviso o il sigillante cede? Il crucco ubriaco che mi è venuto addosso con la sua rompighiaccio d’acciaio mi ha mandato a urtare la catena, il corpo morto, un reattore nucleare e mi ha sbeccato il passascafo da fuori? Eh? Allora?”.

E così via.

 

Va bene di cose peggiori del vivere in barca ce ne sono tante, e io mi sono divertito un po’ a forzare la mano; ho giocato, scherzato, ma sono certo che tra le molte parole scritte in parecchi di voi si siano rivisti. 

Ma allora perché si sceglie di vivere a bordo, o insomma trascorrervi tanto, tanto tempo?

Potrei rispondere con ogni verso lirico possibile immaginabile, ammaliandovi con la mia prosa e le fotografie raccontate di ciò che significhi il rapporto tra l’uomo, la barca e il mare. Ma mi limiterò con un semplice e chiaro: “BOH!”.

 

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