Qui puoi trovare l’episodio precedente del viaggio “Dalla Turchia alla Francia”

 

Guido sapeva dei nostri programmi, ma solo nel senso progettuale, cioè quello di trasferire Yakamoz in Francia. Sul quando, il come e passando per dove, nessuna informazione.
Approssimandoci a Milos dicevo squilla il telefono, è Guido che mi chiede notizie sui nostri piani.
“Guido guarda siamo partiti qualche giorno fa da Datça, e ora giorno dopo giorno ci avvicineremo a Methoni; adesso ad esempio stiamo per arrivare a Milos… (semplificando, senza specificare l’isola precisa, cioè quella subito accanto a Est, Kimolos)”.
Guido “ma cosa stai dicendo? Siamo arrivati al porto di Kimolos poco fa anche io e Rita!”.
Aahhahahah la vita del marinaio è davvero imperscrutabile. Quante probabilità c’erano che potessimo scegliere stesso approdo per circostanze totalmente differenti, nel dedalo di isole dell’Egeo! Neanche a dire che lui fosse un habitué, anzi tutt’altro; le Cicladi in agosto pagano il caro prezzo del meltemi più impetuoso e avventurarsi da queste parti è da masochisti, l’ho sempre sostenuto.
Ma lui si trovava a salpare da Atene dove aveva imbarcato Rita atterrata da Milano; visto il meteo favorevole, ne hanno approfittato per scendere un po’ e godersi un’isola anche a loro sconosciuta.
Bè è una bella notizia, Guido sebbene per gioco noi “amici dell’Egeo” l’abbiamo dipinto come Er Seccia (personaggio portasfiga interpretato dal mitico Totò: appellativo guadagnato a pieno titolo…), rappresenta ai miei occhi sempre un amico genuino e sincero; proviamo affetto per lui e Rita, ma in particolare le mie attenzioni sono rivolte a Guido in quanto a ogni incontro gli tiro una spallata atta a disarticolarlo come possibile. È un gioco nato per caso a cui lui si presta (inconsapevolmente) passando dallo spavento farcito di dolorini postumi, a una fragorosa risata.

Ricordo ancora quando vennero a visitare Istanbul. Per caso io e Başak ci trovavamo in città prima di rientrare in Italia, così decidemmo di portarli un po’ in giro.
L’appuntamento era in pieno centro storico, Eminönü, la zona della Moschea Blu e Santa Sofia. Per chi non capisse cosa signific Istanbul in generale, ma quel punto in particolare, non può comprendere la facilità di mimetizzazione tra migliaia di persone e turisti he si incrociano. In effetti non era facile neanche per noi individuarli tra la bolgia, ma la conoscenza del posto giocò a nostro favore sapendo bene dove guardare, vista l’ubicazione dell’appuntamento concordato.
Guido mangiava un panino con non so cosa, e mai come in quell’occasione non si aspettava la mia imboscata: “SBAAAAM!” gli diedi una spallata tale che il panino prese il volo come uno Shuttle. Non so come avesse fatto a riacciuffarlo prima che cadesse a terra, ma vi riuscì. Ancora vivide sono le risate a crepapelle per la scenetta e l’espressione tra lo spaventato e l’incazzato del povero Guido, pronto a vedersela con quel turco maleducato!

Tornando a Kimolos e ben conoscendo la nostra idiosincrasia per i porti, ci avvisano di qualche rada ad hoc per noi. Nel frattempo sfiliamo davanti il loro molo diretti alla rada che avevamo in mente, circa 3 miglia più avanti. Il vento ha rinforzato parecchio e decidiamo di verificare la baia, salvo poi nel caso fare retromarch aprendo il fiocco senza spendere un litro di gasolio.
Arriviamo di fronte a una spiaggia molto grande, Pirgonisi, pur se la curvatura non è classicamente protettiva; però notiamo l’assenza di risacca e visto il fondo sabbioso ottimo tenitore, non ci pensiamo su due volte e diamo fondo. Siamo stanchi e vogliamo un posto sicuro senza nessuno intorno a cui pensare in caso di peggioramento meteo. Cosa tra l’altro che avviene puntualmente, come da programma e previsioni, scatenandosi in Forza 6 già dalla stessa sera fino a quasi tutto il giorno seguente arrivando a Forza 7.
Informati Guido e Rita del nostro ancoraggio, scopriamo – ennesimo scherzo del destino – di essere proprio di fronte al ristorante che gli era stato consigliato dai locali e dove avrebbero voluto recarsi la sera dopo a gustare un capretto a ‘chilometro zero’. Urca che fortuna!

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L’appuntamento è presto organizzato, ci si vedrà in serata del giorno dopo al ristorante e con l’occasione gli chiediamo di portarci un pezzo di pane per rinforzare la nostra cambusa.
Gli amici dal porto hanno circa 3 km a piedi, passeggiata tra l’altro incantevole ma che si sviluppa su una strada panoramica e soprattutto priva di nascondigli per me. L’agguato stavolta sarà complicato.
Il giorno successivo sbarchiamo un’ora prima con Başak per sgranchirci le gambe dopo ben 5 giorni di barca: è un vero piacere metter piede a terra, la semplicità poi della località ci conquista subito, che è in realtà poco più di una spiaggia, appunto contornata di piccoli bungalow un po’ nell’entroterra e il ristorante in questione, nulla più. Qualche turista italiano senza la mortifera mascherina, e diversi greci già apparecchiati forchette in mano in attesa del povero capretto.
È cosa nota che io e Başak oramai adottiamo un regime a basso contenuto di proteine animali, e l’esperienza gastronomica se da una parte ci alletta vista appunto la per noi rarità, dall’altra ci crea un senso di colpa. Non così la pensano i comaschi che scorgiamo discendere dalla strada un po’ in pendio: ancora non ci hanno notati. “Forza Başak vediamo se riesco a dargli la spallata!”. Solo che come già detto l’impresa è semi impossibile, il nemico ha campo visivo troppo libero per non scorgerci, l’unica possibilità è quel palo della luce vicino una casa. Başak è alquanto perplessa perché capisce che è come fare il gatto intento a nascondersi dietro la gamba del tavolo, convinto che il suo solo sguardo coperto impedisca all’altro di vedere tutta la silhouette… Infatti Guido e Rita scoppiano a ridere, lui tra l’altro già con il “radar acceso” pronto a schivare il mio assalto. Va bene dai a questo giro gli ha detto bene (ma una spallatina di benvenuto gliel’ho sempre tirata!).
Baci e abbracci, e sincera gioia per l’assurdo e felice incontro.
Ci dirigiamo al ristorante speranzosi nello speciale e squisito capretto ma… ahinoi è finito tutto.
Astanti delusi (noi, o meglio le nostre anime, un po’ meno), procediamo a qualche meze tanto per stare insieme; d’altronde non siamo qui per mangiare quanto per parlare, rimembrare i bei tempi egei e dirci “arrivederci” sperando in tempi migliori che possano restituirci la spensieratezza goduta anni addietro.

Ci salutiamo non senza un briciolo di commozione e ognuno verso la propria strada, loro al porto, noi al moletto dove abbiamo ormeggiato il tender.

Il pomeriggio seguente decidiamo di salpare per spostarci in una baia a sud di Milos, vogliamo guadagnar miglia sull’ultima tratta egea che ci aspetta, e 65 miglia ci separano ancora da Elafonissos.
Risulta anche l’occasione per saggiare il vento, ora impetuoso, e le raffiche tipiche di quel tratto meridionale a noi noto, che dovremo per forza superare prima del mare aperto; pertanto meglio svolgere le “prove” con la luce del sole piuttosto che direttamente prima dell’alba.
Apriamo un fazzoletto di fiocco e in effetti abbiamo qualche difficoltà a gestire il vento, forte, e il mare già subito montato appena 3 miglia dall’ultimo approdo. Ma si va e alla fine diamo fondo ad Akrotiri, un’altra rada da galera: insieme ad altre barche sembriamo dei pendoli a moto perpetuo per quanto rolliamo…
Come da programma salpiamo in piena ora antelucana, perché la strada è lunga e vogliamo atterrare di giorno. Randa terzarolata e fiocco ridotto: iniziano le sventagliate previste a cui reagiamo con esperienza e solidità, è proprio il caso di dirlo. Facciamo punte di 7 nodi, come dire si vola. Il bordo è magnifico, abbiamo un angolo di circa 50° e Yakamoz dà il meglio di sé: brava puledra di latta, ogni volta ci sembra superi ogni nostra aspettativa.
In poche ore siamo fuori l’influenza malefica di Milos e le sue raffiche, il vento si mette regolare, pur mantenendo qualche “starnuto” di troppo; ma è una navigazione eccellente, il Meltemi c’è e fornisce tutto il carburante necessario affinché arrivassimo verso le 16 in prossimità del temuto Capo Malea, il Capo Horn dell’Egeo.

Qui se ci sono venti dai quadranti settentrionali, possono generarsi raffiche improvvise violente, anche 60 nodi senza preavviso; gli stessi portolani invitano a percorrere il tratto di 2 miglia circa a secco di vele e con attenzione.

Per fortuna noi ci presentiamo già a motore in quanto il vento cessa letteralmente proprio 2 miglia prima del Capo.

Il Meltemi cioè finisce, se ne va, qui il suo compito termina e sancisce un confine netto tra un mondo e un altro. Senza rendercene conto come svegliati da un incantesimo ci giriamo verso poppa, quasi increduli che davvero l’Egeo ci stia salutando. È il viaggio delle commozioni, si è capito, e dei brindisi; tutto è un simbolo, tutto sembra avere un peso specifico differente, che richiede una certa cerimoniosità. Non sappiamo se la chiglia di Yakamoz rivedrà mai più questo mare meraviglioso, ma con tutta probabilità sarà l’ultima volta che lo vedrà con noi. Fuori la bottiglia di Rhum, si alzino i calici e si brindi lasciandone un po’ al gaio mare “Grazie Egeo, grazie Meltemi per averci dato tanto senza toglierci troppo, ti saremo sempre grati per tutte le emozioni che ci hai regalato e… arrivederci!”.

Capo Horn è alle spalle, noi pressoché indifferenti alla sua magnanimità, un po’ mestamente proseguiamo qualche altro miglio e diamo fondo a Elafonissos, dove riposeremo qualche ora ripensando alle emozioni appena vissute.

 

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