Se osservate bene la foto, noterete un signore comodamente seduto su una sedia di plastica ‘Algida style’. Fino a qui nulla di strano, tranne per il fatto che non si trovi in uno dei tanti bar a gustare il caffè, ma a bordo della sua “zattera” auto costruita, con tanto di fuoribordo e lenza al dito: pescare è si importante, ma passare qualche ora in mare lo è di più.

Tralasciando un attimo l’esigenza dei turchi di far da sé (ho visto cose che voi umani…), tratto caratteriale che li contraddistingue da molti popoli sulla faccia della terra, la domanda sorge spontanea: perché?

La risposta è ovviamente nel titolo stesso di questo post, tuttavia richiede alcune altre considerazioni per comprenderla davvero.

Inizio con l’osservare che molti suoi colleghi diportistici, riderebbero del suo “natante”, in quanto oggi se non hai almeno un motoscafo di 8 metri con 200cv sotto, sei uno sfigato. E questa cosa si riflette a vari livelli, compreso nella vela.

Negli anni le misure sono aumentate a dismisura, e quando una volta armare un Comet 11 era roba di lusso, senz’altro non per tutti, barca impegnativa, grande, fatta per il mare, ora 11 metri sono quasi una lunghezza da principiante, da parvenu della vela.

L’industria nautica ha colto molto bene l’onda consumistica, proponendo modelli non solo lunghi, ma larghi! Si, la parola d’ordine è ‘spazio in pozzetto’. D’accordo, la scusa recente è costruita sul nuovo concetto di prendere il mare: planando. Cioè se prima i progettisti di barche a vela dislocanti si sono scervellati nel creare gusci sempre più larghi, dove possibile, al fine di offrire abitabilità mai viste prima, ora “dovendo far planare” le barche, finalmente si possono disegnare pozzetti inverosimili su 33’, tavoli da ristorante nel mezzo, e via dicendo.

Non entro nel merito delle scelte specifiche, ma osservo semplicemente che il veliero è divenuto pian piano non più un mezzo per solcare le onde in piena armonia con gli elementi, ma l’ulteriore, ennesimo oggetto feticista. Gadget, elettronica tutta d’un tratto indispensabile e possibilmente ridondante; parabordi tecnologici, bow truster dai 27’ in su, 2 timoni a ruota su 10 metri (attendiamo la terza ruota al cesso, non sia mai che nel momento del bisogno si voglia prendere anche decisioni di rotta importanti), touch screen per cucinare la pasta, e fregnacce varie.

D’altronde il fenomeno si può riscontare facilmente in termini statistici: il numero di armatori rispetto a 30 anni fa è aumentato in modo spaventoso, e le barche (ferme) hanno riempito porti, marina, cantieri.

Solo che parliamo appunto di ‘armatori’, non di gente che va per mare, molto differente.

Come dicevo l’industria nautica, in linea con il mondo turbo capitalista e iper consumista, per veder crescere il proprio fatturato, ha dovuto strizzare l’occhio sempre a più persone, attirandole con la produzione di giocattoli, alla stregua di uno smartphone, tecnologia, auto di lusso.

Non è una novità, e difatti molte sono le barche bellissime, lucidissime, iper performanti, iper veloci, iper comode, iper ferme: perché alla fine l’importante è averne una, farsi vedere belli in pozzetto fermi al porto, 15 giorni l’anno.

Oggi c’è la crisi, il settore del lusso ovviamente non batte ciglio, ma il diporto minore soffre. Giusto così direi, e ancora molto lontani secondo me da parametri “igienici”.

Perché quello di cui si ha bisogno è della cultura marinara, velica, non diportistico-feticista. Sta a significare che gli ultimi decenni, chi si è affacciato al mare e alla vela, non è stata gente amante del sale, ma semplici parvenu alla ricerca di un altro oggetto da mostrare. Di conseguenza la crisi è per certi versi relativa, falsa nei termini veri e se vogliamo salutare.

Anni fa “Soldini2 (si badi bene “Soldini”, non il sottoscritto), disse che per rilanciare la nautica ci vorrebbe una cultura propositiva, quindi produttiva, verso unità galleggianti più spartane, meno dedite al cazzeggio, e che per creare velisti appassionati, bisogna mettere davanti a tutto il piacere di uscire a vela, il divertimento, il sentire il profumo del vento sul mare prima di capire cos’è la VMG o di ammazzarli con lo spi.

In Italia ci sono circa 100.000 tesserati FIV (Federazione Italana Vela), in Francia alla FFV qualcosa come 1.100.000: 11 volte, di più… “popolo di… navigatori”, ‘ma mi faccia il piacere’ diceva Totò!

Nelle scuole vela francesi si mette la cultura avanti l’agonismo, proprio come auspica Soldini, e il settore nautico è in crisi ma meno, in quanto c’è un mercato sano dove appunto esiste cultura specifica.

Da noi c’è invece gente che “schiaccia”, barche sbandate, falchette in acqua e skipper pour jouer, che approcciano al campionato invernale come se in palio ci fosse la Coppa America (maledette competizioni), scaricando le frustrazioni della settimana addosso ai malcapitati sovrappeso, partecipi consapevoli del girone dantesco delle regate.

Recentemente un nuovo amico che cito volentieri, Alberto Gamannossi, mi ha iscritto a un gruppo FB “Gusci di noce – piccole barche”; lo ringrazio per questo, in quanto è una piccola realtà dove si percepisce ancora la passione per il mare, che non passa per forza di cose dal 45’ ma anzi su unità più gestibili, da soli, e che infine restituiscono un rapporto con il mare e la vela più autentico, oltre più frequente. E il punto sta anche nei costi di gestione, in quanto una dimensione minore, consente di approcciare a questo mondo meraviglioso più facilmente. Ma di certo con un 7-8 metri, fai poca figura in banchina…

Sono solito dire che gli italiani, siano passati da essere un “popolo di navigatori” a un “popolo di collezionisti”.

E torno al tizio sulla zattera. Si è divertito a costruire qualcosa che lo spostasse sull’acqua, per pescare comodamente seduto, disarmante agli occhi di chi lo osserva, ma per la semplice esigenza di stare a contatto con il mare, l’ultimo mondo che ancora oggi, nonostante tutto, tutti e la tecnologia da iper spazio, rappresenta un’inspiegabile richiamo fitto di misteri. “What else?”.

Chapeau a lui e a chiunque ami davvero il mare.