Come rimediai quella volta che… Si spense il motore

“Giugno 2010, la veleggiata è stata bellissima, vento fresco anche se da prua, ma l’intensità è aumentata solo verso l’arrivo. Fino ad oggi la nostra brava Yakamoz si è sempre comportata bene e mai ha dato un cenno di inaffidabilità. Nemmeno in quell’aspetto che viene considerato “ausiliario”, ovvero il motore.
Una volta forse tale aggettivo poteva valere, ma quando si naviga in Mediterraneo, con una barca di 13 metri e 9 tonnellate di dislocamento, ti rendi conto che tutto quell’insieme di ferro, olio e gasolio, è più che un aiuto saltuario, anzi oramai indispensabile (o quasi).
Mentre ci accingiamo alla meta, Datça, rifletto sul fatto che in questi due anni io e mia moglie Başak, navighiamo e viviamo a bordo del nostro Ovni 41, a cui abbiamo provveduto a molta manutenzione, ordinaria e straordinaria, sostituendo man mano dove necessario le parti soggette a inevitabile usura dei suoi 23 anni. Ma non si può pretendere di tener testa a tutto, altrimenti si sta sempre fermi a lavorare e non a navigare.
La rada è lì ad attenderci, piccola e accogliente, dove diamo sempre fondo molto volentieri.
L’avvicinamento ci è noto, quasi ogni sasso e scoglio l’abbiamo memorizzato, e quindi vista la prossimità inizio a chiudere randa e fiocco, Başak al timone ad agevolare la manovra. Nel frattempo il fedele Yanmar borbotta il suo minimo, rassicurante e pronto a entrare in azione per sostituirsi alla propulsione velica. Tutto è pronto, l’àncora armata, ma…MA, il motore si spegne! Un attimo di gelo entra nelle vene, gli scogli sono lì a 20 metri, l’abbrivo c’è e il vento ci spinge al traverso proprio dove non dovremmo andare.
Başak ritenta l’accensione senza successo, e quelli che saranno stati una manciata di secondi pesano come eterni minuti. AIUTOOOO!
Non c’è un attimo da perdere, io sono ancora a prua e guardandoci negli occhi con Başak capiamo entrambi senza parlare cosa si deve fare, così lei urla l’unica frase sensata in quello strano momento di imbambolamento sopraggiunto dopo i secondi di stupore, “APRIAMOOOO IL FIOCCOOOOO”.
Il timoniere-tailer è pronto, come sempre, e in un attimo la vela si svolge. Grazie alla partecipazione attiva del vento forza 5, e alla sua provenienza, Yakamoz poggia decisa verso gli scogli, ma anche potenza e velocità saranno tali da consentirci di manovrare per tempo e abbattere di lì a poco verso il largo.
Ora, ripresi dallo shock iniziale possiamo dedicarci con calma alla verifica del problema. Başak affida il lasco al timone automatico, io scendo in sala macchine per iniziare il gioco del “escludi cosa”. Il leveraggio è a posto, perdite di gasolio non ne vedo che avrebbero potuto presagire aria nel circuito; manicotti vari idem, così ogni collegamento serbatoi, filtri, iniettori. Non resta che allentare i raccordi subito a monte del circuito, ovvero l’uscita dei due serbatoi e indagare su eventuali sporcizie. Al primo imputato la sentenza è emessa, perché non esce proprio gasolio. Svito il raccordo, e vedo pendere dall’uscita filamenti verdi, eccole qui, le alghe.
Pulisco con un grosso fil di ferro e “stappo” l’uscita, pronto a chiudere la valvola.
Smonto i filtri e pur se non sporchissimi presentano tracce di alghe anche loro, nulla da fare già andate in circolo.

Comunque sia la causa principale è proprio l’attappamento a monte che impedisce il flusso del gasolio. Effettuo la stessa procedura con il serbatoio di dritta che presenta un po’ meno problemi ma ce n’è anche lì. Rimonto il tutto, spurgo eventuale aria azionando a mano la pompetta C e subito dopo Başak mette in moto: BRUUUUM. Lo Yanmar ruggisce come se nulla fosse.
Marcia in folle, preferiamo avvicinarci a vela il più possibile mantenendo il motore acceso per verificare in anticipo un ulteriore blocco, prima di appropinquarci all’ancoraggio.
Purtroppo avendo compreso il problema non siamo tranquilli, le alghe potrebbero creare lo stesso inconveniente in qualsiasi momento. Ci siamo. Stavolta teniamo il naviglio un po’ più discostato dagli scogli e procediamo verso il nostro posto usuale. La zolla di sabbia è lì ad attenderci, e noi con estrema velocità e decisione diamo fondo facendo far testa alla Bugel ben bene: dovrà garantirci per diverse ore un’ottima presa. Folle, manettina interruzione gasolio su, cigalino, stop.
Dopo il comprensibile relax iniziale non perdiamo tempo e, armati di santa pazienza, prendiamo le taniche di bordo e più ne acquistiamo altre per svuotare i serbatoi: un lavoraccio, in rada ancor peggio. Apro i tappi di ispezione e ahimè la situazione è pesante: alghe a profusione, morchia; è evidente che non sono stati puliti da molti anni, né tanto meno io ho pensato di farlo non appena acquistata la barca; come detto, si cerca di far fronte a tutto, partendo spesso da ciò che si vede, e anche sono migliaia i componenti presenti a bordo dal pensarli uno per uno e per di più a secco di esperienza pregressa.
Si fa quel che si deve e alla fine si riempiono nuovamente di gasolio; motore in moto, tutto a posto.
Il fatto mi tranquillizza in parte, perché so che dietro le paratie frangiflutti non ho potuto arrivarci (mancano i tappi! Li farò io in seguito), inoltre non dispongo di un decantatore e dal mio punto di vista anche il diametro dell’uscita serbatoi mi sembra troppo piccolo. Insomma in autunno prenderò in mano la situazione con decisione, ma per il momento dovremo convivere con questa consapevolezza. Ed ecco che il mare si erge a insegnante: imparare, sempre, costantemente.
Fatalità il giorno dopo assistiamo all’ancoraggio effettuato a vela da due ragazzi francesi, con un cabinato di almeno 11 metri. Folgorazione, dobbiamo essere in grado anche noi.
Cosa fatta, e salpiamo alla volta della rada successiva dove metteremo in pratica la lezione appresa. Sarà una stagione avvincente, nella quale salperemo e daremo fondo rigorosamente a vela (e motore comunque acceso in folle per sicurezza), affinando man mano la manovra, per la gioia degli astanti, a dire il vero un po’ preoccupati nel vedere questo carro armato d’alluminio avvicinarsi silenziosamente a loro, pronto a virare violentemente per mettere a collo il fiocco e dar fondo con nonchalance.”
In seguito praticai un nuovo tappo di ispezione in tutti e due i serbatoi, a poppavia delle paratie frangiflutti, li pulimmo completamente a fondo, sostituii il raccordo d’uscita con uno fatto fare dal tornitore dal diametro interno più grande e feci realizzare un filtro decantatore ad hoc, in inox, capiente e secondo le indicazioni dei vecchi pescherecci italiani (ma questa è un’altra storia).

In conclusione l’avventura di allora ci diede tre messaggi: uno, che se devi scegliere una manovra d’emergenza a vela, sempre meglio prediligere il bordo che ti consente di gonfiare con potenza la vela, magari poggiando (dato che di solito la rada è disposta contro vento), così da poter controllare la barca; se c’è acqua sufficiente, benché poca, non spaventatevi e procedete decisi, altrimenti se ci si fa prendere dal panico l’istinto porterebbe a scegliere l’allontanamento dagli scogli, ma il vento (avendo solo il fiocco da aprire) potrebbe far rifiutare la vela di prua e a quel punto rendere impossibile la manovra, il margine annullato e si scadrebbe inevitabilmente a scogli. Due, in caso di problemi, appunto se possibile prendere sempre il largo vento in poppa, semmai ridurre tela, e procedere più o meno comodamente a far mente locale e nel caso risolvere: prima di chiedere soccorso, traini costosi e lanciare allarmi spesso ingiustificati. Tre, mai affidarsi totalmente a un congegno meccanico che in quanto tale può dare forfait: biasimo sempre quelli che, spesso charteristi ma non solo, costeggiano allegramente a motore a una distanza di neanche 20 metri: “perdonali Nettuno, perché non sanno quel che fanno”. Ovviamente imparare a dare fondo a vela.
Insomma da quel giorno mai più un problema del genere, e tante altre lezioni da apprendere, sempre e comunque, dal più grande maestro esistente al mondo, il mare.
Giampaolo Gentili

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