Quello che vedete in foto non è reale. O meglio, sarebbe il paradiso, l’ideale, ma la verità è che ci troviamo a lavorare in ben altre condizioni. Perché? Per tanti motivi, tra cui la stupidità.

Agli esordi lo confesso non ero molto attento quando lavoravo, usavo le mani nude e crude, con quell’impeto e ingenuità che accompagnano i giovincelli convinti di essere immuni e immortali.

Poi, però man mano che gli anni passano, si accumulano gli incidenti, e dopo 1, 2 e 3 capisci che è meglio lavorare con “intelligenza”.

Dunque adotti i vari accorgimenti che chi svolge mansioni artigianali e manuali conosce bene.

Così ad esempio quando smeriglio utilizzo i guanti, gli occhiali e una tuta per non sporcarmi inutilmente.

La mia smerigliatrice è costituita da un classico trapano (che da poco ha tirato le cuoia dopo 20 anni di onorato servizio: quindi lo consiglio vivvamente AEG), fissato a un banco improvvisato tramite morsetto da carpentiere, e la spazzola d’ottone. Premo il pulsante, lo blocco con la funzione prevista e mi metto al lavoro.

Tutto è molto comodo e funzionale, e da anni lo uso per pulire viti, bulloni, rondelle, dadi, coperchi vari, elica, mozzi eccetera eccetera.

Perfetto direte voi, sei una persona prudente. Si ci provo, ma si da il caso che nonostante ciò e spesso proprio per ciò, incorro in alcuni incidenti.

Primo fra tutti è la tuta stessa che si impiglia: dato che a volte utilizzo la tuta da pittore, quella usa e getta, quindi leggera, e dato che spesso fa caldo, la lascio mezza aperta o arrotolata e legata con le maniche alla vita, tanto per avere una parziale ma sufficiente copertura. Ebbene la tuta essendo di materiale leggero, viene risucchiata dall’aria creata dalla spazzola, o basta una piccola ventata a muovere la manica. In quel caso si verifica un assurdo groviglio e il motore del trapano si blocca e tu devi avere la prontezza di spegnere, pena la perdita del mezzo meccanico.

La seconda eventualità mi è capitata pochi giorni fa: i guanti.

Nel mentre che lavoravo smerigliando tra l’altro un pezzo neanche piccolo (come una rondella ad esempio), un lembo del guanto viene agganciato dalla spazzola che procede al solito avvolgimento; ma in questo caso non essendoci molto materiale da coinvolgere, ecco il mio nuovo tatuaggio realizzato a 3.000 giri: per fortuna Başak era in zona e ha staccato la spina dalla prolunga, in quanto io in qualche modo mi sono trovato ammanettato.

Stessa cosa, vi avviso, può accadere con il frullino-flessibile; anzi peggio, in quanto i giri sono almeno doppi e la forza di risucchio dovuti ai vortici, è notevole, e basta un nulla per ritrovarsi coinvolti in qualche strangolamento da pitone.

Ma allora la domanda sorge spontanea: se anche con le giuste precauzioni ci si fa male, quali altri accorgimenti dovremmo mettere in gioco? La prima risposta parrebbe quella di prendere esempio dai vecchi fabbri et similia, i quali difficilmente li vedi con un qualche guanto o tuta particolare, ed in effetti tutti sappiamo quanto sia complicato in generale lavorare con i guanti. Inutile prendersi in giro, ci sono alcune lavorazioni che al massimo (ma non sempre) possono contemplare dei guanti in lattice per evitare il contatto con prodotti chimici o semplicemente per non sporcarsi inutilmente. Ma in realtà la seconda risposta è quella più attendibile: utilizzare gli accorgimenti d’accordo, ma giusti!

Purtroppo siamo in barca e per quanto io affermi di avere un mezzo negozio di ferramenta a bordo, manca sempre il bullone specifico, la fascetta della misura necessaria e il guanto adatto.

Ma non può essere una giustificazione, specialmente quando oramai hai esperienza e sai quello che potrebbe accadere; invece lo spirito di adattamento e frequentemente la fretta, sono cattivi consiglieri, così…

Per smerigliare non si devono usare guanti da lavoro normali, in tessuto o simil plastica, e magari ‘sbragati’ da anni e ssessioni di lavoro, ma bensì in gomma e i più aderenti possibili, proprio per evitare di prestare appigli agli utensili.

La tuta ovviamente non può essere quella da pittore leggera, ma una tradizionale in cotone, tipo meccanico per intenderci, così che anche in caso di contatto, difficile sarebbe la conseguenza di cui sopra.

E fin qui potrei sostenere comunque che il mio tatuaggio sia stato frutto di un po’ di sfiga, perché d’accordo precauzioni non molto adatte, ma almeno presenti, unite al saper fare dell’esperienza.

Ma quando per l’ennesima volta devi allentare una fascetta di un tubo da cambiare, e dato che il negozio sta per chiudere e allora contravvieni alla regola ferrea del guanto, (ferrea, perché il cocktail fascetta-tubo è bastardo e non perdona), così che ti sbrighi e con presunzione ti dici “ma che sarà mai, è il solito tubo, stavolta starò attento”, ebbene ecco che il cacciavite spaccato data la forza in gioco, scivola dal lembo di tubo che tenti di allargare per farlo uscire dal nipples e, sbang(!), “riesce persino a entrare nel dito” e ben in profondità. Non pensavo potesse dato che non è un utensile affilato, ma garantisco provateci è bellissimo, “si può fare”.

(Devo decidermi di inaugurare una vera e propria rubrica, “I momenti del coglione”).