Quando nel 2005 mettemmo per la prima volta il piede su una barca a vela, scattò l’amore con il mare visto da sopra 1 metro, storia ormai nota a molti.
Trovammo come per incanto la nuova dimensione cercata già da qualche tempo. Eravamo stanchi di un sistema non più appagante, le cui promesse apparentemente confortanti, fatte di panna e cioccolato, nascondevano i pericoli degli stessi ingredienti.
Ancora non c’era un virus da cui scappare, né una guerra a noi vicina, ma avevamo ben compreso la società da cui volerci dimettere.
Ecco perché quando pochi giorni fa in uno scambio di battute con un amico, avvilito da quanto stesse accadendo, dallo schifo osservato sotto ogni profilo, risposi “ma per quale motivo credi che io e Başak 15 anni fa abbiamo capovolto le nostre esistenze!”.
Uno dei miei primi post su Facebook (a quanto pare la nostra nuova vita) è stato ironico: la novità, la realtà grottesca a cui ci vedevo catapultati, mi ha fatto scrivere un messaggio rivolto a tutti quelli che negli anni ci avevano chiesto “ma voi come fate a vivere su una barca, spazi ristretti, per molti mesi!”. “Bene ora avrete l’opportunità di scoprirlo!”. Solo che io e Başak in effetti lo abbiamo scelto.
Inoltre lo scenario è senz’altro differente, venendo a mancare il vento, il mare, le vele e quella potentissima sensazione di libertà e bellezza, sarei ingiusto nel paragonare le circostanze.
Sono moralmente vicino a tutti quelli costretti in 60 metri quadri, magari senza un balcone e per giunta rivolti a Nord. Una vera e propria prigione, dove rinchiusi coesistono persone incarcerate senza aver commesso il fatto… fino a prova contraria.
I contenuti dei social spaziano tra la retorica più sdolcinata del classico “andrà tutto bene”, alle meme pregne di saggezza del tipo “fino a ieri volevate stare a casa per riposarvi e ora tutti impazienti di partecipare alle Olimpiadi” e via dicendo. Non saprò mai se tali slogan vengano messi in giro da troll pagati dal Ministero della Verità, ben consapevole della psicologia di massa. Perché o siamo di fronte a migliaia di nuovi ‘futuri illuminati’ (così sembra dalle condivisioni dei contenuti) oppure in molti si stanno prendendo per il culo non sapendo di farlo.
Le persone in realtà detestano sentirsi dire la verità, come quella dell’uccellino in gabbia, il quale messo di fronte alla porta aperta ha paura di uscire, preferendo la confortante protezione delle sbarre luccicanti.
A differenza dei piccoli volatili, l’essere umano è capace di cogitare (anche se a volte non sembra), e ordunque la sensazione istintiva di “voler uscire” rimane radicata, pur se poi non messa in pratica.
Assistiamo ad altri slogan che sfociano nel prosaico, “dopo niente sarà più come prima”, oppure “saremo migliori, avremo la possibilità di cambiare” e via dicendo.
Magari! In realtà non andrà tutto bene per nulla. Perché manca la scelta.
Vedete, la quarantena a me e Başak ha cambiato poco la quotidianità. Abbiamo sempre desiderato di vivere insieme, condividendo esistenze e progetti. E questo ci ha portati a fare delle scelte, come quella ad esempio di trascorrere i pochi mesi invernali in un paese e una città più a portata d’uomo, il Portogallo. La logica del basso profilo, per mantenere un po’ di spirito analogico, pur potendo scegliere. Ho sempre ripetuto che “la barca è solo un mezzo, non il fine”: ed eccoci difatti senza la nostra amata Yakamoz ma comunque felici, liberi se volete, nonostante la quarantena. La libertà, si, che non dipende dalla carrozza o dalla dimora, bensì dallo stato mentale.
La scelta
Ecco la questione pian piano entra nel vivo. Avere tempo a disposizione ‘non richiesto’ non regala il desiderio di pretenderne. I popoli la libertà se la devono conquistare, perché quando regalata non viene apprezzata, anelando le catene del padrone come l’uccellino di cui sopra.
“Ah come siete fortunati voi che vivete in barca”, “Se potessi farlo anche io…”, “Se avessi il tempo che avete voi, tsè…”, o più recentemente “il reddito di cittadinanza… si così la gente non fa più nulla”.
Molti individui in queste ore stanno sperimentando praticamente proprio il desiderio reclamato a gran voce: si trovano a casa, in pantofole e tuta, con lo stipendio garantito dalla pubblica amministrazione (fortunato chi può), o forse in cassa integrazione, godendo di una “vacanza” della lunghezza indefinita.
Ma che fanno? Si lamentano di non poter tornare alla normalità. L’uccellino in gabbia.
Alle persone non mancano le ali, bensì lo scopo per usarle.
Ecco perché non andrà tutto bene, o almeno per quel che intendo io.
Non è questione di tempo ma di strumenti.
Se ne uscissimo tra pochi giorni, assisteremmo solo alla fuga dei polli dal recinto, salvo poi rientrarci il prima possibile.
Se la prigionia si protrarrà per altri mesi, dovremo fare i conti con l’irrequietezza e la violenza, comprensibile da parte di chi non ne può più, chi interpreta tutto ciò con i propri mezzi, e diciamolo in tutta onestà alle prese con la cassa di bordo oramai esanime.
Ed è altrettanto vero che una volta esaurite tutte le serie TV, annoiati dall’ennesima partita alla playstation, sparate tutte le cazzate possibili sui social, forse cederemo gli ultimi barlumi di libero arbitrio alle autorità, ringraziandoli per averci resi liberi, di entrare in una prigione più stretta e estremamente controllata chissà grazie a un chip sottopelle.
Il cambiamento non avviene per vie coatte, ma al contrario in tempo di pace, di libertà, cercandolo.
L’opportunità
Non si discute però che questa che stiamo vivendo possa essere un’occasione importante di cambiamento.
Proprio oggi leggevo le dichiarazioni del Presidente Mattarella (…) con le quali ci avvisava di doverci preparare a una ricostruzione come nel dopoguerra. Bene, benissimo, se per un’influenza siamo arrivati a questo punto, direi come minimo che stiamo mancando di rispetto a chi quella Guerra l’ha combattuta sul serio. E, mi viene da chiedere, nel caso dovessimo affrontare un’altra pestilenza un po’ più grave, dovremmo prepararci a tornare al medioevo?
“Mah”, è l’unica esclamazione di perplessità che mi esce d’istinto, e penso stia ronzando nella testa di parecchi in questo momento.
Fors’anche era necessario questo “reset”; per dirla alla Marinetti “la guerra è l’igiene dei popoli”: brutta frase non c’è dubbio, tuttavia se dovessimo abbracciare una visione più ampia e meno aristotelica, potremmo comprendere ancor meglio la battaglia del nostro corpo. C’è chi dice che a ogni incremento o cambiamento di influenze elettromagnetiche (oggi il 5G) i virus presenti nel nostro macrobiota entrino in gioco come reazione del corpo, una reazione che lascia caduti sul campo, i più deboli. Brutalmente, una selezione naturale.
Insomma da qualsiasi angolazione volessimo vederla la storia del Sars-Cov-2 ci sta ponendo di fronte a delle scelte, a dei cambiamenti futuri, rimanere dove siamo o andare di là.
Si dice che in Cina durante la quarantena siano aumentati i divorzi. Benissimo! Nella vita quando ti abitui a vedere il rovescio positivo della medaglia, concentrandoti sullo Yin (o sullo Yang) e quindi sul bicchiere mezzo pieno, significa che hai raggiunto la maturità. Maturità spirituale o cosmica intendo (non parlo di religione). Quindi mi chiedo perché hai sposato una persona continuando a viverci accanto, anzi facendo finta, e anelando per anni la libertà concessa dalla scusa lavorativa? O di un hobby, un “impegno con gli amici”; o il classico e sempreverde “per il bene dei nostri figli…” (è davvero il loro bene?).
C’è voluto un virus per sbatterci in faccia le nostre vite. Diciamo che se ne usciamo vivi almeno avremo risparmiato una valanga di soldi in psicoanalisi.
Ben vengano allora anche in Italia tanti divorzi, se questa sarà l’igiene necessaria per regalare alle persone la seconda opportunità in una vita, oramai chiaro, breve e vulnerabile. A patto però sappiate cosa farne dell’ultima chance.
Perché leggo di gente che non vede l’ora di uscire di casa, ma non per lanciarsi in nuovi progetti, no; “non vedo l’ora di tornare alle mie cose, abitudini, agli apericena”.
Cioè uscire di casa per andare di nuovo a comprare la felicità.
Cosa farsene della libertà se poi la usiamo per infilarci in un centro commerciale?
A che serve sognare quel tempo che con nonchalance impieghiamo a produrre soldi per acquistare, acquistare e acquistare ancora qualcosa?
In pratica si sogna di tornare a quelle stupide effimere confortanti certezze che tali non sono, essendosi sgretolate in 24 ore (questo c’è voluto a un governo per privarci delle più basilari libertà). Le vie di fuga da noi stessi di cui sembriamo non poter fare a meno, alla stregua di un tossicodipendente: dipendenti dalla tossicità.
La consapevolezza del superfluo
Fondamentalmente cosa ci sta insegnando il covid?
Che abbiamo bisogno di poco a livello materiale, tanto a livello sociale: la libertà di scegliere.
Credo che per assurdo siamo di fronte a un enorme “SI PUÒ FARE“, a portata di tutti.
Passato 1 mese di questa detenzione, probabilmente avremo compreso quanto non fosse utile il parrucchiere, l’estetista, il vestito ultima moda, la giacca firmata, l’orologio d’oro, il televisore da 60 pollici, l’ennesimo videogioco per il bimbo.
Venendo a cadere il castello esibitivo, viene meno l’esigenza di ostentare al prossimo quel retaggio vanesio di un uomo sorpassato, o sorpassabile se solo lo volessimo.
Riflettete sul serio qualche minuto, e rispondetevi sull’importanza ad esempio del vestirsi di etichette. Perché? Che senso ha tutto ciò?
Oggi non possiamo “sgommare” con i nostri bolidi fiammanti, per legge. Ci manca davvero? No, anzi pagheremmo oro per fare un giro in bici o a piedi.
Questo perché non esiste più il teatro sociale quotidiano, messo su dal sistema, dallo showbusiness, che a sua volta paradossalmente sta mostrando la naturale ovvia fragilità.
Ho sempre sostenuto che un’economia basata sull’iper consumo fosse pericolosa, e che la sua necessità di autoalimentarsi ci stesse facendo percorrere una china pericolosa. Ed eccoci qui, dunque, rinchiusi in casa è vero, ma solo bisognosi di cibo, qualche distrazione e tanto desiderosi di uscire, chi per una corsa al parco, chi semplicemente fare una passeggiata.
Capite? Tutto svanito come neve al sole. Tornare all’economia delle cose tangibili e utili, sarebbe non auspicabile ma necessario. Saremmo meno ricattabili dalle speculazioni infami, meno bisognosi di energia, più concentrati sulla qualità che la quantità.
Il virus ci ha fatti decrescere in un batter d’occhio.
Certo se avessimo scelto di farlo responsabilmente negli anni passati, forse non avremmo dovuto scontrarci domani con gli effetti collaterali di paesi in default e classi politiche inadeguate ad affrontare una nuova realtà basata su nuove regole.
Ma se il fine giustifica i mezzi, allora ben venga lo schiaffo a cui ci accingiamo.
Respiriamo, siamo vivi, abbiamo capito la lezione, possiamo farcela.
Se leggessimo le parole di Mattarella in chiave differente, scorgeremmo una seconda possibilità. Ripartiamo dalla storia, da quello che abbiamo fatto al pianeta, distruggendolo, annientando foreste, animali, inquinando tutti i mari del mondo, accelerando lo scioglimento della calotta polare. Prendiamo atto di come in soli 70 anni siamo stati distruttivi.
Nel 1945 non c’era nulla, e l’ingenuità che ha spinto quelle generazioni a produrre e costruire, ha impedito loro di vederne gli effetti a lunga scadenza. Ora non ci sono più scuse. Sappiamo tutto. Possiamo vivere con poco, con il necessario, riappropriamoci dell’artigianalità, ritorniamo a riparare, a non buttare. Impariamo a nutrirci bene, facendo nostro il detto “sii il medico di te stesso”; non deleghiamo a priori a un camice bianco la nostra salute, solo perché privi di quel tempo necessario ad arricchire la nostra cultura e perché no una visione differente della stessa medicina. Rifiutiamo la “pillola contro tutto”, non barattiamola con la qualità della vita: quella pillola, quell’atteggiamento ha reso città come Milano, Bergamo e tutta l’area tristemente nota, invivibili, pericolose e estremamente indifese.
Ogni nostra delega a terzi ci deresponsabilizza, ci distrae da ciò che conta, convinti così di avere più tempo per cose, questo alla fine il nome giusto, “cose” inutili.
Forse sono solo un inguaribile ottimista, ma senza speranza d’altronde cosa saremmo se non solo un ammasso di cellule.
Quindi voglio avere fiducia nel genere umano, e spero in un corto circuito planetario, così forte da destare tutte le anime; uno schiaffo, una sberla enorme al contempo rinsavente, data dalla verità ineffabile e incontrovertibile, non opinabile, che la felicità per forza passi dall’emancipazione da un mondo consumistico. E dal rispetto della natura di cui siamo ospiti, amandola in ogni forma, desiderando l’idolatria solo di un tempio, costruito sulla nostra mente e il nostro corpo.
Io non sono un monaco tibetano, e non vedo un futuro fatto di santoni a suonare gong o a girare cilindri tra una litania e l’altra.
Mi piace l’idea di un uomo seduto su una spiaggia, qualche vettovaglia, magari un libro, all’orizzonte una barca a vela e nei suoi occhi la serenità e fiducia per il futuro, costruito sull’unica libertà per cui valga davvero la pena lottare: il tempo.
#disattivailpanico
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Caro Giampaolo,
Tutto tornerà come prima, anzi peggio.
Gli squali dell’economia di mercato, quelli che non hanno trovato il modo di far soldi anche dal covid-19, saranno ancora più affamati.
La crisi renderà ancora più deboli chi lo era già prima.
Per tutti gli altri l’apericena, le mutande Calvin Klein e il nuovo smartphone torneranno ad essere l’unica ragione di vita.
E per fortuna dico io.
Per quelli come noi essere in pochi è l’unico modo per sfuggire al sistema che, per la sua stessa esistenza, richiede la perfetta omologazione del pensiero.
B.V.
Caro Ruggiero è una lotta impari, ma bisogna pur farla, a nostro modo 😉
Cari G&B (si voi due) continuo a pensare che la svolta della mia vita sia stato l’incontro con voi sulle pagine di internet.
Ho sempre amato una vita spartana e priva di fronzoli e vedo la tecnologia come strumento a migliorarsi. Siete riusciti a farmi tirar fuori il mio “Io” e quello che volevo dalla vita, peccato di esserci arrivato a 50 anni.
Questo articolo rafforza i miei convincimenti e sgretola gli ultimi dubbi. L’ho scritto su altre pagine, barattare un pò di progresso con una vita più naturale non sarebbe la peggiore perdita. Continuate così anche perché molte mie conoscenze stanno apprezzando le vostre filosofie.
Caro Giampaolo, che su tanti aspetti dell’esistenza la vediamo allo stesso modo gia’ lo abbiamo capito. Diceva il saggio: “l’uomo e’ meta’ fiore e meta’ gabinetto”. Non fosse cosi’ la nostra storia millenaria avrebbe dovuto gia’ insegnarci qualcosa. Invece no. Ripetiamo sempre gli stessi errori, ricadiamo sempre nelle stesse logiche. Sempre il saggio a chi gli chiedere il perche’ di questo atteggiamento rispondeva: “perche’ siamo fatti cosi'”. E’ la nostra natura. D’altra parte, non puoi chiedere al lupo di fare l’agnello e viceversa. Una volta capito questo saremmo gia’ un passo in avanti. A chi lo ha realizzato non resta che continuare a cercare di essere il piu’ possibile “fiore” e meno “gabinetto”. E questo mi pare assolutamente in linea con quanto hai scritto.
Buon vento
Bellissima metafora quella del gabinetto 😀 sul serio. Speriamo si di essere più fiori possibili
bv a te