Qui puoi trovare l’episodio precedente del viaggio “Dalla Turchia alla Francia”

 

Ennesima sveglia all’alba per via del rinforzo da NW previsto per oggi: destinazione finale probabilmente Procida, considerando le miglia e le possibilità di velocità della nostra barca.
A motore dunque spingiamo la prua il più possibile fuori dal golfo di Salerno. La soluzione rumorosa, come noto per noi fonte di disagio, viene compensata dal paesaggio che scorre lungo il tragitto: Punta Campanella, Capri, il Golfo di Napoli e più in là l’isola che desideriamo visitare da tempo; oltre, Ischia in tutto il suo splendore e imponenza.
Il tempo passa e il vento pare non essere così cattivo, a differenza del mare che invece si fa notare: è un misto tra morto e vivo, qualcosa di davvero strano; immaginiamo sia dovuto anche alle varie correnti presenti tra le isole e la costa. Comunque portiamo un’ottima media e inizia a insinuarsi un suggerimento nelle nostre menti.
Fermarci a Procida comporterebbe ulteriore ritardo sulla tabella di marcia e dato che siamo qui non per piacere ma per dovere, e considerando anche che Manuel e Annalisa ci attendono a Ponza, forse sarebbe il caso di rischiare, confidando anche nell’imprevedibilità meteo: che rimane tale sia in senso negativo che positivo.

Tiriamo dritti

 

 

Ci conosciamo abbastanza per conoscere già la decisione un attimo prima averla pensata: si va, così la prua non cede di un grado e continuiamo a puntare a 315°.

Tutto sommato apprezziamo la scelta, sia per ottimizzare il motore e il gasolio, sia perché dopo tanto sbattimento la necessità si trasforma nella virtù di un ottimo caffè al traverso di Ischia, grazie alla precisa timonata di Ovidio, instancabile da ore; noi, rilassati, leggiamo, fumiamo, fino a quando un branco di delfini non viene a consacrare definitivamente l’idilliaco momento.
Simboli importanti ad avvalorare la strategia.
Appena dopo l’isola esce il vento, anzi in realtà si mette in chiaro, senza sorprese: benvenuto (!) maestrale.

L’intensità è tale da farci volare senza troppi patemi, ovviamente nella direzione sbagliata. L’abbiamo messo in conto e i bordi sono il prezzo da pagare.
Verso pomeriggio siamo al traverso della splendida Ventotene, il vento rinforza ma ancora teniamo tutta tela.
In serata avvistiamo sempre più chiaramente Ponza ed è arrivata l’ora di decidere la tattica.
Atterrare di notte in una rada per noi sconosciuta quale Cala Inferno, non rientra tra le opzioni prescelte; tirarla alle lunghe tutta la notte per presentarci all’alba avrebbe senso se si trattasse di poche ore, e qui a quanto pare verso massimo mezzanotte saremmo già a poche miglia da Ponza; pertanto rimane questione complicata.
Fatalità, la matassa si dipana da sola, visto l’ulteriore rinforzo di vento: prendiamo i terzaroli e ci mettiamo alla via, poi si vedrà.

Elettronica pericolosa

 

 

Verso l’1 di notte siamo tutto fuorché prossimi all’ingresso: i bordi diventano più difficili, le raffiche pure e soprattutto c’è quel “panettone” in mezzo al mare, non illuminato, che ci desta un po’ di preoccupazione.
Lo “scoglio della botte” difatti, benché compaia chiaramente sul GPS, nonostante la luna piena, si nasconde ai nostri occhi: mai una bella notizia, specialmente quando si viaggia decisi a 7 nodi.
Passano le ore, sono quasi le 3 e iniziamo ad avvicinarci, ma la velocità scende inesorabilmente sotto i 3 nodi per il mare incrociato e il vento ballerino; ovvero pessima situazione a cui si aggiunge la nostra stanchezza: oramai risentiamo effettivamente di quanto fatto sin qui dalla Tuchia. E lo scoglio ancora non si vede.
Le luci di Ponza, i fanali, i segnali forniscono un quadro di confronto… non attinente al GPS!
C’è qualcosa che non va e il bordo ci posiziona poco distanti dallo Scoglio. La spossatezza si insinua suggerendo piena fiducia al congegno elettronico e non agli occhi; per fortuna un guizzo di lucidità fa luce su quanto sta accadendo: la bassa velocità, il NON procedere, ha mandato in tilt il GPS, non più in grado di rapportarci correttamente alla mappa. Mancano poche miglia, meglio non far cazzate: accendiamo lo Yanmar e ora tutto appare chiaro, panettone compreso.
Non sono soddisfatto dell’equipaggio, la leggerezza avrebbe potuto costar caro e mi do dello stupido da solo. Başak cerca di minimizzare appellandosi all’oggettiva stanchezza.
Alla fine le luci di fonda dirimono ogni dubbio e tutto sommato Cala Inferno è la miglior rada che un navigatore stremato, di notte, possa augurarsi tra quelle sconosciute: molto larga, “orizzontale”, priva di ostacoli; neanche le 2 ipotetiche boe di segnalazione che avvertivano di una vecchia fish farm, oggi assente.
Sono davvero tante le barche alla fonda, d’altronde non ci aspettavamo altro; sui 7 metri allentiamo la frizione e la Bugel agguanta dopo pochi secondi.
Il rituale della messa in ordine di Yakamoz, non viene disatteso neanche stavolta; alle 5 del mattino sveniamo letteralmente in cuccetta.
Dormiamo come ghiri anche grazie al fatto che la rada è un “babà”, nessun rollio, per noi una benedizione dato che son passati ben 11 giorni dall’ultimo miracolo, avvenuto in quel di Navarino, Grecia!

 

Una vita da sogno con 500 euro al mese: ancora oggi si può fare!

 

L’agognato incontro

 

 

Ma non c’è tempo per tirarla alle lunghe, gli amici sono qui per noi e vogliamo accoglierli nel migliore dei modi invitandoli a pranzo; alle 8 la sveglia ci strappa dal letto e dopo una fugace colazione cominciamo a rassettare la barca: Başak pulisce e ordina l’interno, io come sempre fuori; è vero, siamo esausti ma ci teniamo troppo, pur se consapevoli che a Manuel e Annalisa non fregherebbe nulla del “luccichio”; purtroppo siamo fatti così, per noi forma di rispetto considerando gli anni che separano gli occhi di Manuel, in particolare, dalle linee metalliche da lui stesso amate.
A loro volta devono aver dormito poco sapendo del nostro arrivo; oltretutto siamo rimasti in contatto fino a dopo mezzanotte per ragguagli meteo locali; tanto che li vediamo avvicinarsi con il tender di lì a poco e in un attimo eccoli a bordo.

Ci sono parole per descrivere i fatti e circostanze, normalmente; delle volte però ogni tentativo naufraga nell’impossibilità di restituire le forti emozioni di alcuni momenti. L’abbraccio tra me e Manuel è fra questi. Sono passati ben 12 anni da quando ci incrociammo in mare e fu proprio qui a Ponza. Per noi la prima volta, anzi un insieme di prime volte, lui patrigno di questi 2 “sbarbatelli velici” inesperti benché audaci. E ora tanta, tanta acqua, simbolica e non, passata sotto la chiglia di Yakamoz, oltre qualche ruga in più a testimoniare il tempo trascorso.
Gli occhi di entrambi nascondono le lacrime; in mezzo ci sono fatti e prove di vita importanti, che hanno coinvolto i vari protagonisti della scena, spesso non facili da raccontare; tra cui un appuntamento mancato a Datça che avrebbe dovuto verificarsi 10 anni prima, noi a scrutare l’orizzonte alla ricerca di Lucretia ogni mezz’ora… per poi non vederla più. Sono bivi, biforcazioni della vita spesso brutalmente importanti, che possono segnare gli sviluppi di un’esistenza, in un modo o nell’altro, senza che ciò significhi per forza bene o male. Esistono, semplicemente.

Per fortuna la presenza di Annalisa e Başak, ci impone di metter fine ai flashback e alla valanga di pensieri, ricordi arrivati come una scarica elettrica; così dopo lo scambio reciproco di affettuosità, ci congediamo dal loro dolce benvenuto, per rivederci verso pranzo: tutta la giornata la passeremo insieme, con calma.
Le ore dunque trascorrono troppo velocemente, piene di parole e sorrisi di gioia; felice è stata per noi anche la sorpresa di conoscere sul serio i figli di Manuel e Annalisa, 3 ragazzi educati, rispettosi e tranquilli come pochi ne abbiamo visti: al giorno d’oggi merce rara, segno evidente che i genitori hanno saputo ben lavorare.

Sorprese continue

 

 

Sembra un susseguirsi di sorprese e simbolismi, tra cui il fatto che la barca presa a noleggio dagli amici, fosse l’unica disponibile per questa estate in cui, ci dicono, essere stata overbooked, tanto da non riuscire a trovare neanche un gozzetto a remi: effetti del covid e delle vacanze trascorse dagli italiani in terra patria.
Ebbene trattasi di un Hanse 341 di nostra vecchia conoscenza, “Esperia”, ovvero la prima barca di cui ci innamorammo all’epoca poiché in vendita e sorella della “nave scuola” dove ricevemmo i primi rudimenti. Correva l’anno 2005. Quante possibilità che ciò accadesse? Sorprendete è dir poco, sembra sempre più uno strano sogno realizzato, indecifrabile gioco del destino.

Senza volerlo tiro persino uno “scherzo da prete”, poiché il provetto marinaio, preso forse dall’euforia, assicura il tender degli amici al pulpito di poppa di Yakamoz, come sempre d’altronde faccio con Yakamozzino e qualsiasi altro battello; ma stavolta misteriosamente non utilizzo la solita gassa bensì un parlato semplice… vuoi un po’ di beccheggio e rollio, vuoi il sagolino che era più uno spago in effetti che una cima, il nodo si scioglie e il tender beatamente se ne va per la sua rotta. Fino a quando prontamente il figlio di Manuel si accorge “dell’ingombrante assenza”. Il sangue si gela a tutti i presenti e nessuno si capacita dell’accaduto; in fretta e furia varo Yakamozzino pronto a girare ogni baia se necessario: mi sento in colpa, ma soprattutto un emerito coglione, “come mi è mai potuta accadere una cosa del genere!”.

Si vede che è la giornata dei miracoli, perché assicurato a poppa di una barca poco dietro di noi scorgiamo un tender in più e uno dei due è proprio il loro. A remi lo andiamo a recuperare ringraziando il bambino il quale, notato il gommone alla deriva, si era prodigato nel recupero insieme ai genitori. Fiuu, mi è andata bene, ma la figura barbina rimarrà negli annali della storia.

Il giorno finisce e dopo una breve pausa tra gli equipaggi, verifichiamo il meteo; con nostra grande delusione riceviamo conferma di quanto temuto: la perturbazione da Sud sta per arrivare e anche forte, per cui dobbiamo decidere o di passarla qui e poi sperare in un’altra suddata a breve per salire, oppure salpare stesso domani per prenderci l’inizio della botta e fare miglia, vento in poppa, verso Portoferraio.

Proviamo a produrre ogni possibile alternativa io e Başak ma non ne veniamo a capo; il cuore ci dice di restare, la testa no. Oltretutto Manuel fra un paio di giorni dovrà rientrare a Nettuno e non intendiamo costringere le loro vacanze a noi: è bene che si divertano esplorando più rade possibili e godendosi con la giusta privacy “le, importantissime, prime volte di Annalisa”; è un test fondamentale perché propedeutico a forse una scelta di vita…
Condividiamo la delusione con il caro amico che, neanche a dirlo, capisce perfettamente e approva appieno la nostra strategia.
La sera la passiamo a brindare come possiamo e senza indugiare, abbiamo da recuperare diverse occasioni per abbassare il gomito troppo presto; anche la notte però va via come un fulmine, le nostre palpebre anche pagano l’effetto gravità dato dalle poche ore di sonno. Buonanotte cari amici a domani per il commiato.
La mattina non abbiamo fretta, il vento sappiamo non presentarsi prima del ‘caffè delle 11’; una bella notizia, non solo perché ci consente di recuperare ancora un po’ di preziosa energia, ma anche per veder salpare Manuel e famiglia alla volta della loro prossima baia.
In piedi sui ponti tutti quanti come rispettosi militari a bordo delle rispettive “fregate”, ci congediamo però con tanta passione, sbracciamenti e urla, noi ringraziandoli infinitamente per la cospicua cambusa ordinata loro tempo prima, e che con tanti sacrifici hanno trasferito a bordo di Yakamoz.

Ciao ragazzi, ciao cari amici, speriamo di rivederci presto ognuno con in mano i propri sogni, finalmente.

Dopo il caffè e dopo un ultimo bagno nella calde e splendide acque ponziane, ben rigenerati da tonnellate di emozioni, salpiamo verso l’ultima meta italiana, l’Isola d’Elba.
In fondo siamo quasi arrivati in Francia.

 

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