Quando leggevo dei vari navigatori, venivo ammaliato dallo spirito di libertà delle loro gesta. Spesso soli, su un piccolo veliero negli spazi sconfinati dell’oceano.
Erano epoche totalmente differenti dalle nostre. Marinai con la M maiuscola, senza tecnologia, ausili elettronici; solo una bussola, il sestante e forse la radio per chi ce l’aveva (e solo in epoche relativamente “recenti”).
A pensare solamente alle batterie che avevano a bordo (ma sconosciute a gente come Slocum o Dumas) mi viene da ridere se rapportate a quelle attuali. Le barche poi, ridotte all’osso, vele pesantissime, sartiame in corda o acciaio ma non inox, winch inesistenti spesse volte, o almeno non come li conosciamo ora; paranchi piuttosto e tempi infiniti di navigazione.
Sui tempi non è che oggi le cose siano molto cambiate, e in effetti diciamola tutta è proprio l’aspetto romantico, il fascino insito nel veliero.
L’unico mezzo con tutta probabilità, insieme al cavallo, in grado di metterci in contatto con un passato, una dimensione più che altro, mai così rara in questi giorni.
Lo spirito di libertà, uomini liberi, coraggiosi. In barca o a piedi, ognuno con i rispettivi limiti, facevano parte di una generazione perduta: la Guerra, la povertà, le piccole grandi cose.
Molti di noi non sanno neanche cosa significhi la ‘libertà’, siamo nati in un’epoca nella quale abbiamo avuto la fortuna (o la sfortuna) di darla per scontata. La libertà conquistata dai nostri avi, a noi regalata. Ma un valore così enorme non può essere apprezzato se non anelato, desiderato. È alla base dei cambiamenti. È alla base dell’autodeterminazione. È stato alla base del mio cambiamento e di quello di Başak, allorquando decidemmo per una nuova vita.
D’accordo sono 2 situazioni differenti, la libertà di chi ha perso la vita per ottenerla è totalmente diversa dalla nostra, ma il valore alla base uguale. Esiste una libertà fisica e una mentale. Se vieni recluso contro la tua volontà, farai di tutto per riappropriartene (si spera). Se sei stato imprigionato senza rendertene conto, nato in un gigantesco “Truman Show”, hai bisogno di molta più energia, forse di ugual coraggio per destarti volontariamente da un lungo sonno.
Ed ecco perché oggi è molto complicato spiegare alle persone alcuni enormi, fondamentali concetti; spesso anzi si rischia il ridicolo. Chi abbandonerebbe la propria comfort zone ad esempio! Per cosa? Per salvare il mondo? Tsè, avanti il prossimo.
È una libertà inafferrabile, inspiegabile forse è il termine giusto.
In questi giorni siamo alle prese con il primo tipo di libertà: nessuno può uscire dalla propria abitazione, se non per motivi gravi, o di prima necessità. Potremmo definirli a tutti gli effetti arresti domiciliari.
Mi si dirà che c’è una ‘causa di forza maggiore’… ma evito di entrare troppo nel merito, d’altronde chi mi conosce sa bene come la pensi.
Siamo agli arresti. Punto.
La retorica affettata ci vuole in questo stato per il bene del prossimo, quando in realtà è per non mettere in imbarazzo un apparato sanitario ridotto all’osso negli anni dai governanti; terapie intensive quasi 4 volte in meno rispetto a quelle di altri paesi europei. Stiamo pagando quindi il prezzo dell’inettitudine politica e del nostro menefreghismo avvenuti negli ultimi anni, 20 per l’esattezza, forse più.
“Ma no è colpa del virus!”. Mi spiace deludere le anime candide, ma nonostante i disastri lombardi, le cui concause andranno cercate, i numeri dicono sempre e solo “INFLUENZA”. No non la Spagnola, né Ebola. Il resto son chiacchiere per difendere posizioni, scaricare responsabilità addosso a uno dei tanti virus non letali: le parole, la semantica hanno un senso ben preciso. Ci sarebbero da dire molte, molte altre cose ma come premesso mi fermo qui.
La gente inizia vagamente a comprendere il valore di quella libertà strappata con coraggio e tenacia dai nostri nonni o bisnonni. Ci sembra oggi normale sentirci affranti, forse annoiati, più facile preoccupati per un domani totalmente incerto: il presidente Mattarella parla di rimboccarci le maniche come nel dopoguerra.
Moitessier partì come molti sanno, per il primo giro del mondo senza scalo passando per i 3 capi tempestosi. Coraggio, un briciolo di irresponsabilità forse, ma l’assoluto disprezzo della precauzione intesa come limitazione. Lui, come altri, facevano di tutto per salpare in sicurezza: provviste, metodi di raccolta dell’acqua piovana, mezzi per pescare, attrezzature ridondanti quando possibile e ogni genere di accortezza per scongiurare gli inevitabili imprevisti. Giorni, mesi, anni in mezzo al mare, soli insieme alla speranza di riveder terra, alle prese con gli elementi e con se stessi. Bernard si sa, invece di rientrare in Inghilterra e tagliare il traguardo, probabilmente vittorioso, fiondò un messaggio a un cargo con su scritto “proseguo per non perdere l’anima”. Oggi, queste parole non avrebbero molto senso, anche perché nessuno rinuncerebbe a un telefono satellitare. La barca per il navigatore francese rappresentava un tempio, era una simbiosi totale, un mezzo elevato per entrare a contatto con gli elementi; a tal punto da desiderare di non separarsene per ancora qualche mese.
Il desiderio di libertà, espresso dalla figura di un albatros, spesso raccontato come tale. L’uccello d’alto mare, capace di spostarsi migliaia di miglia senza riposare, per seguire il suo istinto.
Recentemente ho scritto un post su Facebook, in realtà la sintesi di un pensiero più articolato dell’autore David Zaruk: “In una cultura in cui si è bandito il concetto dell’assunzione del rischio, abbiamo rimosso l’istinto essenziale per la sopravvivenza dell’uomo, regalando ai governanti il più semplice strumento di controllo, la precauzione”.
Ai giorni nostri andare per mare significa prima di tutto riempirsi di ogni comfort, poi di ogni aggeggio elettronico e via dicendo, al fine di permettere quasi a tutti di spostare una barca in “sicurezza”.
Pochi affrontano burrasche, esperienza questa si forse ultimo baluardo utile per comprendere la ‘verità’, la nostra infinitesimalità, ma anche il confronto con le debolezze umane, le vere paure e dunque il sentirsi cambiati una volta usciti indenni. Molti restano in porto, rinunciano a navigare.
Ogni individuo, al di là del mondo marino, si confronta con tale atteggiamento.
A scuola i bimbi devono essere tutelati, anzi ultra tutelati. A casa vengono fin troppo spesso infilati in una bolla protettiva. Gli stessi genitori, gli adulti in generale, non vogliono più correre rischi. Si delegano le scelte, le responsabilità, le decisioni: c’è sempre qualcuno a cui far gestire. Le confezioni dei prodotti devono riportare ogni dicitura possibile. L’avviso “attenzione bollente” non può mancare, pronti a far causa con i migliori avvocati a ogni mancanza che si dovesse verificare. Anche impercettibile.
Ci siamo trasformati da uomini a pappette per infanti. Il resto è una misera recita, basata su tatuaggi tribali, muscoli da palestra, depilazioni e capelli fashion, sempre e comunque.
Da decenni ‘chi decide per noi’, ha capito come e dove portare l’essere umano, e difatti eccoci qui a pregare un politico, un’istituzione che ci protegga dall’influenza. Che protegga i nostri nonni, al grido “non possiamo permettere che la memoria storica del paese muoia” e altre simili ipocrite banalità spacciate come prova inconfutabile della ferrea morale, salvo abbandonare le ‘memorie del paese’ in qualche ospizio quando andiamo in vacanza.
Nel mentre indossiamo mascherine inutili se non alla nostra mente bacata, guanti più dannosi che altro. Muoiono persone è vero. Come sempre. Perché muoiono? L’ho scritto prima, non voglio affrontarlo ora, ma scordatevi che sia un virus.
Il punto è come muoiono. Muoiono da cani! Senza l’affetto dei cari, isolati come se avessero la peste. Mamme, padri, nonni, nonne che hanno speso una vita intera a combattere, a insegnarci forse proprio cosa fosse il coraggio, l’abnegazione, lo spirito di sacrificio; argomenti che è ormai certo abbiamo frainteso, barattate con l’insicurezza morale della precauzione. Cari, nostri cari ora intubati, isolati come serpenti, senza il diritto di scegliere.
Proprio ieri leggevo un articolo, tra i tanti, che fa capire il disastro in cui ci siamo cacciati, per il quale non abbiamo il coraggio di dire BASTA!
Un nonno si è buttato dal balcone, si è suicidato perché per lui la vita senza poter vedere il nipotino non aveva più senso.
Una mamma ha dovuto dire addio ai figli tramite un fottuto cellulare.
Potrei riempirvi di aneddoti del genere, ma li conoscete già.
A molti suscita tristezza e peggio conferma il fatto che #dobbiamorestareacasa… perché l’ha detto un coglione, a cui è stata data la palma della verità, a dispetto di altri che forse avevano inquadrato meglio la situazione, ma certo avrebbe comportato possibili ‘rischi’.
A me invece queste storie fanno letteralmente incazzare, perché non abbiamo chiesto l’opinione di quelli che abbiamo pensato ipocritamente di tutelare.
L’altro giorno l’amico Antonio, che non ringrazierò mai abbastanza, mi mostra il video di un nonno napoletano che con coraggio è sceso in strada, e lungo la sua passeggiata urlava agli affacciati ai balconi, nuove spie di un regime instaurato, cosa diavolo facessero, che “lui preferiva vivere che aspettare la morte”: vedetelo il video, fatelo vostro con il cuore, lo stomaco, poi mettevi in piedi di fronte a questo Gigante.
Ci prendiamo in giro, non ci interessa che a morire siano principalmente coloro i quali sarebbero morti comunque, forse dopo un mese, ma con estrema dignità e l’affetto dei cari. Rifiutiamo l’idea della morte perché NOI ne abbiamo paura. Siamo ‘pappette per infanti’, omogeneizzati in ogni forma e chiave di lettura, adulanti il dio della ‘precauzione’.
Domani vai con il nuovo tatuaggetto, con la realtà virtuale.
Vi do una notizia, come ama ricordare sempre l’amico Andrea, medico pediatra, “la vita è una malattia mortale”. E se dopo questa notizia dovessimo adottare le stesse ‘precauzioni’? Facciamo che ci tiriamo una pistolettata e la finiamo qui.
Per la nostra vigliaccheria, la nostra infima visione di una non vita, abbiamo mandato in malora un paese, attività costruite con anni di sacrifici; gente che già oggi si suicida, domani peggio; persone senza un lavoro che moriranno sul serio, a ogni età, per l’impossibilità di accedere ad un’alimentazione adeguata e a una sanità distrutta.
Abbiamo ucciso NOI i nostri avi, pensando scioccamente di tutelarli per una guerra finta. E, insisto, più grave, non abbiamo chiesto loro il permesso, cosa ne pensassero, cosa volessero fare della LORO vita; non gli abbiamo concesso neanche l’ultima sigaretta. Magari a un nonno che la guerra, la Guerra vera l’ha combattuta sul serio.
Abbiamo scelto, e peggio sceglieremo sempre e comunque di non affrontare la burrasca, di non navigare; rinunciare a vivere, alla libertà per paura di morire, confortati da quelle 4 cianfrusaglie ritenute indispensabili, su cui abbiamo basato il nostro futuro sintetico.
Voglio andare in mare, voglio affrontarne i rischi, voglio navigare, voglio sentirmi libero.
E soprattutto voglio che chi conosce davvero il senso della parola LIBERTÀ possa scegliere come concludere la propria vita, o chissà rischiare di vivere.
Scusate nonni, nonne, perdonateci madri, padri per quello che vi abbiamo fatto.
Firmato, gli omogeneizzati
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vedo che chi ha assaggiato la misura del mare non può esimersi dal pensare in questo modo. I rischi si affrontano e si valutano, restare in porto per paura di navigare è scegliere di morire. Ma il mondo che sceglieva di autodistruggersi fino a ieri non poteva stupirci oggi.
È così, no non mi stupisco. Semplicemente nutro la mia parte speranzosa verso un improbabile risveglio.
buon vento
Pensa Giampaolo che io ho la casa in vendita qui in Spagna dove vivo adesso, avevo trovato gli acquirenti russi, contenti, innamorati della villetta poi è arrivato il virus, sono scappati i russi ed io che sto vendendo per comprare la barca e andarci a vivere con la famiglia, attraversare ed andarmi a nascondere magari a San Blas adesso sono chiuso a casa con il sogno chiuso come me a chiave nel cassetto e nei preferiti di safari una serie interminabile di link di barche in vendita lavori da fare, cose da comprare, il dissalatore da fare da solo, i pannelli solari, un buon tender, le maschere per lo snorkeling e invece quello che mi si prospetta all’orizzonte non è Graciosa la mia isoletta preferita delle Canarie; no. È un blocco del mercato immobiliare l’abbassamento dei prezzi delle case e mi dispiace per tutti i poveri nonnetti che hanno visto la loro data di scadenza anticipata di qualche anno, mi dispiace da morire per i loro figli, per quelli che non hanno neanche potuto salutarli, mi si spezza il cuore per loro e mi si avvelena il fegato per noi che avevamo questo bel sogno e finalmente il cassetto si era aperto… rileggendo questo sfogo mi sembra un po troppo egoista ma questo è quello che sta passando a me per forza è egoista…parlo solo di me. Un saluto
Mi spiace, sinceramente credimi, in quanto posso immaginare ciò che provi. Chi non si è ‘svegliato’ soffre meno. Chi come te stava preparandosi al cambiamento si ritrova in stand by. Tieni duro, sono convinto che ne usciremo. Riduci tutta tela, mettiti alla cappa, la burrasca terminerà. Un abbraccio virtuale e buon vento a priori
questo articolo contiene molti molti argomenti e altrettanti spunti di riflessione che io considero verità inconfutabili… come sempre una “spietata” quanto lucida rappresentazione della realtà… i temi toccati sono pesanti come macigni, e fotografano lo stato fisico e mentale della nostra società attuale, per il quale quale che stiamo vivendo è una naturale conseguenza… speriamo che il Saturno in Acquario possa dare inizio almeno ad una più diffusa presa di coscienza..
Felice Alessio tu abbia apprezzato e si speriamo che il mio segno, l’Acquario, si dia da fare in senso buono, positivo, non ci resta che sperare a questo
Ciao Giampaolo, concordo, lucida, spietata e necessaria analisi.
Concordo che, guardando oltre all’aspetto sanitario, questa epidemia è vissuta cosi perché il Mondo è malato.
So che non devo convincere te, ma diamo un ordine di grandezza alla cosa. Come sempre, con qualsiasi malattia, se ti tocca da vicino è vissuta come un affronto inaccettabile, ma voglio pensare per un attimo solo ai grandi e cinici numeri.
Il Coronavirus resterà nell’immaginario e nella memoria di molti come una esperienza tragica. I figli ne parleranno ai loro.
Nel 1968 io andavo in prima elementare e c’è stata una epidemia simile, la Spaziale, che nessuno ricorda. Io non ne ho nessun ricordo, mia madre non la ricorda, nessuno di quelli che l’ha vissuta se la ricorda. Non è rimasto nella memoria collettiva. Eppure i numeri dei decessi sono stati un pò peggiori per l’italia (20k morti su 53 milioni), e molto peggiori (per ora e speriamo per sempre) nel mondo (con 1 milione di morti su 3,5 miliardi). Se guardi i filmati televisivi dell’epoca a natale tutti i negozi erano aperti la gente in giro, gli ospedali pieni con le barelle in corsia.
E’ un fatto che epidemie di questo tipo, e anche molto peggiori, non sono una novità (e altre verranno…leggere l’ottimo Spillover di Quammen) come è un fatto che questa la stiamo vivendo come qualcosa di inaccettabile, un affronto all’Umanità da combattere, ma senza l’umiltà e il coraggio di tutti i marinai.
E’ cosi vissuta perché ha trovato un Mondo che era pronto ad avere paura e ad accogliere e accettare l’angoscia e il successivo panico in modo sottomesso. Politica malata, ricchezza e decadenza ce la fanno vivere ben diversamente dagli anni ’60 dove un Mondo uscito dalla guerra era impegnato a rinascere con un ottimismo ora scomparso, anche se forse con qualche leggerezza sanitaria.
Ai tempi alla cosa si era data poca importanza e la scienza medica non aveva tutte le armi di oggi con la possibilità di mitigare l’impatto, ma ora la reazione è una sovrareazione, un tentativo di ipercontrollo, con disastri economici e sociali certi a fronte di benefici sanitari meno certi. Ci sono eccezioni come la Germania, con risultati decisamente migliori sia sanitari che sociali ed economici. Il problema è gestionale e hai ragione a dire che il furto di libertà che viviamo è molto più mirato a nascondere le inefficienze del sistema sanitario che a risolvere veramente il problema, che si autorisolverà per le leggi della matematica.
L’unica speranza è che questa crisi possa spingere il Mondo a curarsi, rischiare per rinascere, sognare e lottare per la Libertà. Dopo le crisi, le 2 guerre mondiali e 9/11 per es, i suicidi diminuiscono, perché le crisi uniscono le società.
La Speranza è virtù più ingenua che candida, ma il suo tradimento porta al disincanto e infine al distacco che pregiudica ogni cambiamento. Difendiamola.
Ciao Alberto posso solo che ringraziarti di questo tuo intervento, che arricchisce e non poco il mio pensiero. È per gente come te che provo ad andare avanti, sperando di diradare qualche nube di chi percepisce qualcosa ma non riesce a vedere. Grazie sul serio, molto bello quello che hai scritto
Grazie Gianpaolo per avermi regalato questa splendida pagina: una boccata d’aria mentre, come tutti, sono ai domiciliari.
Alla fine questo virus un merito l’avrà avuto: quello di averci costretto a riflettere sulla qualità della nostra vita. Sulle mille cose inutili che la riempiono. Sullo scempio del nostro pianeta cui assistiamo inermi da troppo tempo.
Qualche giorno fa ho letto: perché invece di sacrificare l’umanità per salvare questo sistema economico non sacrifichiamo questo sistema economico per salvare l’umanità?
Certo più facile a dirsi che a farsi.
Passata la paura molti vorranno solo ritornare alla precedente “normalità”.
Altri invece decideranno di lottare per cambiarla.
A ciascuno la libertà di scegliere da che parte stare.
Ciao Bruno grazie a te. Grazie per la bella frase che hai riportato e prendo come un augurio il fatto che quegli ‘altri’ saranno numerosi, nel desiderare un cambiamento
Eh, si hai detto bene: oggi (o fino a ieri, spero) la libertà si da per scontata.
L’unico sistema per apprezzarne il valore estremo ed irrinunciabile è quando la si perde. E’ in questi momenti che si torna lucidi e si elabora il sano sentimento egoista di volerla riconquistare, costi quel che costi e non volerla mai più (ri)perdere.
Augurerei all’umanità di poter sfruttare questo momento per fermarsi e per riflettere. Augurerei loro di non perdere questa occasione e riprendersi l’unico valore irrinunciabile, gli augurerei di voler finalmente mollare gli ormeggi per “salvarsi l’anima”. Lo farei, se non per tutta l’umanità, almeno per il mio paese. Tuttavia, da italiano cresciuto tra gli italiani e quindi da pragmatico quale sono diventato, non posso non condividere l’affermazione che qualcuno fece in tempi lontani tuonando che “bisogna avere delle mete per trovare il coraggio di raggiungerle” e fin quando le mete saranno l’ultimo iPhone, il tatuaggio, le unghie da vampiro ed il trattamento dall’estetista….di quale libertà vogliamo parlare?
Grazie per essere sempre la Persona che ho conosciuto anni fa, in tempi non troppo sospetti, che si distingueva dalla massa per la naturale semplicità di essere capace di ragionare con la propria testa
Caro amico mio, non credere che quando ho scritto questo articolo non ti abbia pensato. Tu fai parte delle nostre vite alla stessa maniera, da allora. La tua storia e il tuo vissuto ci hanno forgiati ancor di più: tu, io e Basak e ovviamente Annalisa, i tuoi cari. Parli bene, la meta… sta tutto qui. Auguriamoci solo di averne ancora una. Un grosso abbraccio come sempre e grazie a te