Attenti al topo!
Da quando esiste un veliero esiste il topo di bordo. Certo, all’epoca dei galeoni era pressoché inevitabile, viste le stive stracolme di ogni vettovaglia, e i controlli igienici molto relativi se confrontati a oggi (sarà poi così vero?). Inoltre un piccolo roditore poteva costituire ottima compagnia per qualche marinaio alle prese con la solitudine, troppo spesso lunga durante traversate infinite e difficili. In più gli impianti elettrici ancora non si sapeva cosa fossero.
Perché uno dei danni più pericolosi del topo, non è tanto quello di sgranocchiarsi la cambusa e disseminare la barca di “strane” palline nere, quanto il fatto che la natura lo obbliga a una continua masticazione. E quando non c’è nulla di alimentare, sfoga l’azione con i cablaggi elettrici, e conseguente possibili corto circuiti e incendio dell’imbarcazione.
Ma come fa un topo a salire a bordo e come difenderci?
Intanto sale a bordo se siamo assidui frequentatori delle banchine, dei porti in particolare. Il topo sale o tramite la passerella o semplicemente camminando senza difficoltà sulle cime d’ormeggio.
Ma, udite udite, a seconda di dove vi troviate, persino salendo dalla catena! Si, sanno nuotare, per cui non sorprendetevi se un giorno vi troverete faccia a faccia con “Mickey Mouse” nel bel mezzo di una rada. Di solito si conoscono i posti maledetti, per cui semmai meglio prevedere e munirsi per tempo degli accorgimenti giusti.
Ovviamente se siamo in secco per il topo è tutto più facile, quindi prestate maggior attenzione.
Soluzioni.
Esistono in commercio dei dissuasori acustici a ultrasuoni, sembrano essere efficaci, ma io non mi affiderei ciecamente a loro. Primo perché non essendo udibili dall’orecchio umano, il corretto funzionamento non potremo mai appurarlo, secondo troppe sono le zone d’accesso di una barca, per poter sentirci garantiti dalla potenza del giocattolo.
Il primo consiglio è quello di tenere chiusi gli oblò, tambucci e ogni accesso all’interno della barca e dei gavoni, più grande di 2 cm di diametro: il topo ha uno scheletro praticamente “smontabile” e possono entrare davvero dappertutto e in pertugi apparentemente impossibili da attraversare.
Ma se siamo in estate ovviamente per paura di un topo, non possiamo morire di caldo, allora prevedete delle zanzariere ad hoc. Ne vendono già fatte tipo queste, oppure scopiazzatele e provate a realizzarle da voi. Mi sento di preferire il modello in questione, poiché così siete liberi di regolare l’apertura dell’oblò, e questo torna utile anche contro le zanzare, che se non masticano il cablaggio elettrico però rompono parecchio le scatole… Gli altri tipi, come quelle a scorrimento o ad applicazione a pressione, obbligano a una zona temporale vuota da protezione, e come detto lì non il roditore ma la succhiasangue potrebbe approfittarne.
Stessa cosa per il tambuccio, che va protetto con una zanzariera morbida, fissata a una cornice realizzata con binari di velcro, predisposti ai lati dell’entrata (scorrevole e ghigliottina), o se siete ricchi questa qui; in quanto il topo se è vero che non avrebbe grossa difficoltà a rosicchiare un delicato tessuto, per contro sceglie la strada più facile e come un ladro, se l’affare si complica demorde e se ne va magari dal vicino: ci dispiace per lui, ma questa è una lotta per la sopravvivenza.
Se la temperatura lo consente, meglio comunque chiudere il tambuccio, gli oblò saranno protetti dal tessuto semi rigido che senz’altro non verrà rosicchiato (almeno si spera).
Ma una delle cause più frequenti dell’arrembaggio è quello delle cime. Che siano portate a terra in banchina o agli alberi di qualche baia greca o turca, queste rappresentano la via principale.
Esistono in commercio dei dischi che vanno applicati sulle cime, così da impedire al topo di proseguire: il concetto non è l’impedimento meccanico, la qual cosa in normali circostanze risulterebbe per lui operazione elementare, quanto psicologico; effettivamente è un po’ come se incontrasse un muro, un ostacolo insormontabile e più che altro molto poco stabile. Stesso obiettivo si ottiene con un imbuto. Anche un bidone dell’acqua da 5 litri opportunamente tagliato, va bene. Ma il problema principale di questi metodi è la loro applicazione, in quanto devono essere posizionati ovviamente a cima tesa (special modo con le cime a terra alla fonda): si dovrebbe liberare la galloccia e non sempre vento e condizioni renderebbero l’operazione semplice, mentre infilarli prima di assicurare la cima diverrebbe operazione al fulmicotone e non facile; dato che spesso la linea è costituita da spezzoni di cime con gassa, è escluso pensare di passare dal capo opposto. Per carità con la buona volontà e organizzazione tutto si può fare, e io la sto facendo più difficile di quel che sarebbe. Però dopo prove e miglioramenti, sono giunto alla conclusione che il miglior metodo resta il disco già menzionato sopra: viene venduto in due pezzi facilmente assemblabili, e così posizionabili in tutta calma e efficacemente quando e nel punto desiderato (di solito quasi in prossimità della barca per evitare che vada a immergersi quando la tensione si allenta per risacche, marea ecc.). Non costano poco anche 50 euro l’uno. Ma allora facciamoceli da soli! Si compra il frisbee più elementare (costo circa 1 euro), con un cacciavite ben scaldato si pratica un bel foro centrale della dimensione delle cime utilizzate, lo si taglia con un taglierino per un raggio (quindi non ho scritto diametro: un raggio, non vi sbagliate) e il gioco è fatto. La flessibilità dell’oggetto vi consentirà facilmente di aprirlo quanto basta per infilarlo sulla cima e richiuderlo una volta in sede. Fine.
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